Segnalibro – Camminare nel tempo
Riprende ed elabora alcune riflessioni pubblicate negli anni su Pagine Ebraiche e sul portale dell’ebraismo italiano www.moked.it il nuovo libro del rav Roberto Della Rocca, direttore dell’area Formazione e Cultura UCEI. Camminare nel tempo, edito da Giuntina, si compone di una raccolta di pensieri che intrecciano i temi dell’oggi alla lezione millenaria della Torah. Una lettura che nel suo dipanarsi offre molti spunti. E una base di partenza per proseguire nello studio “ognuno a suo modo, in base alle proprie capacità intellettuali e spirituali”. La capacità di camminare nel tempo in modo consapevole, ricorda il rav, “scandisce il ritmo della vita ebraica nella quale ogni impulso, ogni slancio spirituale espresso dall’ebreo, che si tratti di sentimenti rivolti al proprio popolo o alle proprie tradizioni, si esprime nell’ambito delle barriere temporali, distribuendo i vari momenti di vita spirituale nel susseguirsi dei giorni”. Centrale in questa prospettiva la santità dello Shabbat, il giorno più importante della settimana. Simbolo del diritto al riposo, ma ancora di più “della necessità di tutelare la libertà e la dignità umana”.
Camminare nel tempo sarà presentato giovedì 13 ottobre alle 21 al Centro Ebraico Il Pitigliani di Roma. La presentazione sarà preceduta da una spaghettata in Sukkà. Per maggiori informazioni: eventi@pitigliani.it
Bereshit
In principio il Signore creò il cielo e la terra (Gn 1,1)
Perché la Torà inizia con la lettera bet? Secondo le interpretazioni date dai maestri della Qabbalà, ogni lettera vive di vita propria e nella forma grafica delle lettere alfabetiche sono presenti uno o più significati. Nel caso della lettera bet (ב), vediamo che essa è aperta in avanti e chiusa dagli altri tre lati: questo per insegnare che l’uomo deve guardare davanti a sé, e non sopra, sotto o all’indietro; l’uomo si deve occupare dei problemi concreti di questo mondo e non di questioni astratte. La forma e il contenuto di questa interpretazione sembrano illuminare bene l’identità e l’atteggiamento del popolo ebraico. Ogni lettera dell’alfabeto ebraico può essere interpretata, e ogni lettera ha una sua identità. Nella cultura ebraica l’alfabeto è, da sempre, qualcosa di più di un elenco convenzionale di segni. Su questo ha edificato molto la mistica, per la quale ogni lettera, con il suo valore numerico e simbolico, è una chiave con cui tentare di decifrare i segreti della creazione. Questa bet, che ha valore numerico di due, prima lettera della prima parola di un libro come la Torà, suscita non pochi interrogativi. La alef (א), dal valore numerico di uno, avrebbe conferito al mondo un carattere troppo assiomatico ponendo aprioristicamente l’accento sull’unicità (dell’Eterno, della parola o del testo stesso). E invece, con la bet, la cultura ebraica pone a proprio fondamento un modello dialettico, che nega il dogmatismo e l’integralismo, affermando la dimensione pluralistica e dialogica.
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Il monumentale commento di Rashì alla Torà, scritto nell’XI secolo, si apre con queste parole: «Disse rabbi Yitzchak (probabilmente il padre di Rashì): la Torà sarebbe dovuta iniziare con la prima legge data al popolo ebraico che riguarda il calendario (Es 12,2). Per quale motivo allora inizia col racconto della creazione del mondo? Se un giorno le nazioni del mondo dicessero al popolo ebraico: “Siete dei ladri perché avete sottratto terre che appartenevano alle sette nazioni”, il popolo ebraico risponderebbe: “Tutta la terra appartiene all’Eterno, Lui l’ha creata e l’ha data a chi parve giusto ai Suoi occhi. Per Sua volontà l’ha tolta loro e la diede a noi…”». Questo commento è stato scritto al tempo della prima crociata in cui musulmani e cristiani rivendicavano il loro diritto di proprietà sui luoghi santi nella Terra di Israele ignorandone le radici ebraiche mentre perpetravano stragi di ebrei e saccheggiavano intere comunità dell’Europa. Al di là delle connotazioni politiche di questo commento, Rashì trascende il suo presente anticipando quello che sarà il problema in tutte le generazioni: come giustificare il nostro diritto sulla Terra di Israele. Il nostro diritto ad abitare Eretz Israel è riconducibile a una Giustizia universale e non nazionale quale che sia. Mentre i crociati di ieri e di oggi proclamano il sopruso e la menzogna, Rashì, Noach e noi che ricominciamo con lui lo studio della Torà, continuiamo a celebrare la fede nella conoscenza e nella memoria.
E Adamo aveva conosciuto Eva sua moglie che rimase incinta (Gn 4,1)
Nella prima sezione della Torà il rapporto di coppia è definito col termine «conoscenza». Il verbo iadà, «conoscere intimamente», è quello usato per indicare l’atto sessuale. Non compaiono immagini mitologiche o descrizioni fantasiose come aquile o cicogne. Ci confrontiamo con un linguaggio diretto e al contempo profondo. Adamo iadà Eva; la Torà usa questa parola per l’atto sessuale che richiama una dimensione intellettuale senza la quale la sessualità si ridurrebbe a un mero atto istintuale. Dobbiamo aspettare il matrimonio di Isacco e Rebecca per incontrare il verbo ahav, «amò» (Gn 24,67). Come a insegnarci che in una coppia non si può parlare di vero amore se questo non si basa sulla conoscenza reciproca, intima e profonda. La conoscenza è un inizio, l’amore è un coronamento, un perfezionamento.
Rav Roberto Della Rocca