DafDaf – Nedelia nello spazio

La copertina che apre questo numero di DafDaf è tratta da “Nedelia nello spazio”, libro che racconta di una maestra speciale che per tanto tempo ha accompagnato il giornale ebraico dei bambini. È la storia della morà Dafdafà, che tante pagine, idee, giochi e lezioni ha preparato per noi. La morà Dafdafà nella vita di tutti i giorni si chiamava Nedelia Lolli ed era una persona straordinaria, con tanti interessi e tante passioni. E un caratterino… Per parecchio tempo ci ha fatti filare, in redazione, e alla fine ci toccava pure riconoscere che aveva ragione. È stato pubblicato da Belforte, ed è stato scritto da sua nipote Chiara Segre – che è maestra alla scuola ebraica di Torino come lo era stata Nedelia, e come lo è stata Irene, sua figlia e mamma di Chiara – ed è stato illustrato – anzi, ricamato – da Alessandra Ochetti, collega di Chiara.
Nel numero di DafDaf attualmente in distribuzione abbiamo scelto di mostrare alcune illustrazioni ma invece di anticipare qualche pagina del libro, come abbiamo fatto altre volte, abbiamo scelto dei brani dall’introduzione, che è stata scritta da un rabbino italiano, rav Pierpaolo Punturello, che da qualche anno vive in Spagna, dove è coordinatore degli studi ebraici presso la scuola Ibn Gabriol – Estrella Toledano di Madrid.
Rav Punturello scrive: “Siamo qui per capire cosa possiamo imparare e cosa possiamo insegnare attraverso la sua storia, una storia che non è raccontata da lei, ma da sua nipote Chiara, una donna della terza generazione dopo il secondo conflitto mondiale e la Shoah: la generazione che non è figlia della guerra e della testarda voglia di ritorno alla vita di chi è sopravvissuto, ma pur sempre quella che, da ultima, ha potuto ascoltare direttamente dai sopravvissuti i loro racconti terribili e straordinari e che ha potuto ereditare la tavolozza dei colori con i quali dipingere i valori della memoria. (…) È la storia della violenza, dell’esclusione, della privazione dei diritti contro un gruppo di persone che hanno una identità specifica. Una storia di dolore che dobbiamo comprendere a fondo per essere sempre capaci di saper scegliere come comportarci di fronte alle ingiustizie. (…) Il buio non nasce tale, ma si infittisce a poco a poco, passa dal grigio al nero, piano piano, con gesti quasi insignificanti”. E conclude scrivendo: “Tutti noi, caro lettore, possiamo lasciare al mondo una tavolozza piena di colori o un barile di pittura nera. Dipenderà da come avremmo letto e capito la storia di Nedelia. Dipenderà da quale pennello useremo per dipingere: se quello del bene o quello del male”.
Di libri (e di librai) parlano le pagine scritte da Adam Smulevich, in cui si racconta di una libreria a Firenze dove i giovani lettori sono protagonisti e dove – attraverso i libri – si impara il valore della “diversità”, ma anche della cittadinanza attiva e della responsabilità, in un processo che inizia nei primi anni della formazione. Farollo e Falpalà, i librai che l’hanno fondata nel 2013 e di cui la libreria porta il nome, di recente si sono aggiudicati uno dei più importanti riconoscimenti per chi opera in questo settore: il Premio Gianna e Roberto Denti, promosso dall’Associazione Italiana Editori (Aie) e dal Premio Andersen.
Di processi educativi si parla anche nelle pagine che Daniel Reichel oramai da diversi mesi dedica ogni volta a un kibbutz diverso, raccontando questo mese di Givat Brenner: “Il kibbutz era, per certi versi, un posto meraviglioso per i bambini. Era sicuro: non c’erano crimini o violenza di strada, né traffico. Eravamo poveri, con pochi beni materiali, ma portavamo la nostra povertà con orgoglio, perché ci avevano insegnato che i beni materiali erano il male. Guardavamo i bambini di città come deboli, viziati, fuorviati”. È il racconto che lo scrittore Noam Shpancer fa nel suo romanzo. Il buon psicologo della vita dei bambini nei kibbutzim. Una vita incentrata sulla piena condivisione del tempo e del sapere, nello spirito del kibbutz, con giovani e giovanissimi che crescevano insieme nelle case dei bambini.
La nascita di Givat Brenner e la storia di Enzo Sereni raccontano ai giovani lettori di un’epoca in cui pochi pionieri, su un terreno ostile e tra mille fatiche, riuscirono nonostante tutto a costruire le proprie case e a dar vita prima a campi da coltivare e poi a vere e proprie aziende. Attorno, negli anni dell’Yishuv, si cercò una faticosa convivenza con i villaggi arabi. Nonostante le violenze del 1929, con attacchi da parte araba in tutto il paese, Sereni continuò a credere che solo con il miglioramento della vita di entrambe le realtà, araba ed ebraica, Eretz Israel avrebbe potuto prosperare. “Accelerare l’insediamento ebraico nel paese equivale ad accelerare l’insediamento arabo. – affermò – Lo dico una volta per tutte: l’operaio ebreo e quello arabo sono legati per sempre. Insieme progrediremo, insieme arretreremo”.
A chiudere questo numero la vicenda di Enaiatollah, un bimbo afghano che ha solo nove anni quando sua madre decide di lasciarlo da solo in Pakistan per cercare di salvarlo dai talebani che vorrebbero portarlo via come pagamento di un debito. La sua unica speranza, una volta rimasto solo, è di imparare a cavarsela e andare avanti fino a trovare un posto in cui vivere. Una vicenda vera raccontata dal suo protagonista, Enaiatollah Akbari, insieme a cui Fabio Geda ha scritto “Nel mare ci sono i coccodrilli”, pubblicato da Baldini Castoldi. Il libro ora è diventato un film di animazione grazie alla stessa regista, Rosalba Vitellaro, che aveva già firmato “La stella di Andra e Tati”, dedicato alla deportazione delle sorelle Bucci ad Auschwitz e uscito in occasione dell’ottantesimo anniversario delle leggi fasciste. Buona lettura!
Ada Treves social@ada3ves