Polanski e Horowitz, ritorno a Cracovia
“Non abbiamo dimenticato”

Un regista Premio Oscar: Roman Polanski. E un grande fotografo: Ryszard Horowitz. Cresciuti entrambi a Cracovia e segnati entrambi, negli anni dell’infanzia, dalla persecuzione nazista. Nascosto da una famiglia cattolica il primo, sopravvissuto ad Auschwitz il secondo. Uno dei più giovani ebrei polacchi a uscirne vivo grazie al “Giusto tra le Nazioni” Oskar Schindler che lo inserì, ad appena cinque anni, nella sua lista.
Un passato che tornano ad attraversare, insieme a luoghi e spazi, in “Hometown”. Prodotto da Krk Film con Èliseo entertainment di Luca Barbareschi, il documentario di Mateusz Kudla e Anna Kokoszka – Romer è protagonista alla Festa del Cinema di Roma. L’omaggio a due artisti straordinari che le circostanze di vita e carriera hanno portato lontano dalla Polonia. Come questo lavoro attesta il segno delle radici resta però inestinguibile col suo carico di luci e ombre, rimozione e continuità. “Roman e io non abbiamo mai parlato di questi argomenti. Finalmente abbiamo l’opportunità di rinfrescarci la memoria e di renderci conto che non abbiamo dimenticato, che tutto si è fissato nelle nostre menti” afferma Horowitz in uno dei passaggi introduttivi del loro dialogo, interamente in polacco, mentre passeggiano per le strade del centro storico di Cracovia. Molte le tappe. E molte le sorprese. “È bello qui”. “Sì, è carino”. “Ma è un concetto completamente diverso”. “Sembra Disneyland”. “Hai ragione. Ti saresti mai aspettato di vedere Cracovia così?”.
Davanti alla porta dell’appartamento che fu di sua nonna Polanski indugia. C’è la curiosità di varcarne la soglia, di vedere cosa è rimasto e cosa no. Ma alla fine sceglie di rinunciare. “I ricordi sono terribili, lo devo ammettere. Non li voglio cancellare, voglio che rimangano nella mia memoria così come sono. Non li voglio deformare”, confida a Horowitz. È il ricordo che schiude la memoria della guerra, della persecuzione, del ghetto. È il periodo cui risale anche la loro conoscenza e amicizia, rimasta salda negli anni. C’è una forte complicità d’altronde in questo loro camminare a ritroso nel tempo. Gli sguardi, le parole, i dialoghi. L’uso talvolta dell’ironia come arma, come scudo per proteggersi dal flusso di situazioni e persone che tornano alla mente.
Ne è valsa la pena. È stato importante farlo, convengono Polanski e Horowitz. L’ultima scena, toccante, è dedicata alla famiglia di contadini che accolse il piccolo Roman in casa. Dal 2020 Stefania e Jan Buchala sono entrati nell’elenco dei “Giusti tra le nazioni” dello Yad Vashem: la chiusura ideale di un cerchio.
“Il progetto è nato alcuni anni fa. La cosa difficile non è stata tanto realizzarlo, quanto arrivare a Polanski”, hanno raccontato i due giovani registi (31 anni lui, 34 lei) nel corso di una conferenza stampa. L’occasione è stata data dalle riprese de L’ufficiale e la spia, il film che Polanski ha dedicato all’Affaire Dreyfus (e di cui Barbareschi è stato produttore). “La conoscenza con Roman è ormai di lungo corso. È il più grande artigiano che abbia mai conosciuto e un uomo dotato di senso dello humor e correttezza dei rapporti”, il suo apprezzamento. Barbareschi ha anche aggiunto: “Appena ho visto il documentario ho intuito che fosse qualcosa di speciale nel suo genere. Non era semplice mettere accanto due monumenti dell’arte, farli sentire a proprio agio e farli raccontare”. Un film, il suo pensiero, “che restituisce a Polanski la dignità che merita”.

Adam Smulevich

(20 ottobre 2022)