Attentato alla sinagoga,
la serata di Anavim:
“Il mio un silenzio che urla”

Nell’occasione del quarantesimo anniversario dall’attentato alla sinagoga di Roma e dell’uscita del libro Il silenzio che urla di Gadiel Gaj Taché, l’associazione ebraica torinese Anavim ha organizzato una serata di riflessione su quegli eventi. Introdotta dalla presidente di Anavim Marta Morello, si è aperta con i saluti del vicepresidente UCEI Giulio Disegni. Il 9 ottobre del 1982, le sue parole, “ha lasciato un segno pesante nell’ebraismo italiano e mondiale, caratterizzandosi come un momento di svolta irreversibile”. In questo senso l’anniversario “ha rappresentato un appuntamento molto sentito, anche attraverso l’inaugurazione di un nuovo Sefer Torah” alla presenza del Capo dello Stato. Una cerimonia che il vicepresidente dell’Unione ha definito “toccante”. Sottolineando anche “la forza” di un libro come quello da poco uscito. Un testo “necessario e dalla grande carica emotiva”. Raramente – ha detto Maurizio Molinari, direttore del quotidiano La Repubblica – “un libro riesce a catturare lo spirito di un momento: un momento che riguarda tutti. Sfogliandone le pagine si torna al clima dell’epoca”. Tanti, ha poi aggiunto, “gli interrogativi che arrivano fino a noi”. Tra cui quello del mancato controllo di sicurezza da parte dello Stato. Il giornalista ha parlato della riapertura del processo come di “un atto dovuto: vi è infatti è un’abbondanza di elementi concreti che possono validare la richiesta”. Fare chiarezza, ha concluso, “farà bene alla nostra democrazia: è una consapevolezza di cui c’è bisogno”.
Ad intervenire è stato poi lo storico Arturo Marzano, autore con Guri Schwarz del libro Attentato alla sinagoga. Roma, 9 ottobre 1982. Il conflitto israelo-palestinese e l’Italia. Ad essere ricostruiti alcuni momenti chiave del “dopo”. Come l’arresto a novembre del terrorista Abdel Al Zomar, fermato al confine tra Grecia e Turchia ma che mai ha pagato per i suoi crimini. Di lui infatti si sono perse le tracce “dall’arrivo in Libia”. Tra le domande in sospeso anche Marzano ha evidenziato come significativa la questione del presidio assente. E questo “nonostante l’allora vicepresidente UCEI Tullia Zevi l’avesse richiesto già in agosto”.
Tra i quaranta feriti ci fu anche rav Benedetto Carucci Viterbi, allora ventenne. “Quello di Gadiel – la sua testimonianza – è un libro che smuove una riflessione: anche noi, forse, siamo stati silenziosi. Il meccanismo del silenzio ci ha un po’ preso nel suo vortice. È un punto che, individualmente, ritengo importante”. Tra i temi posti dal rav anche il significato del luogo scelto per l’attacco: il punto di riferimento, ha ricordato, di “un’area di grande densità memoriale”. Altra “grande domanda” su cui interrogarsi quella relativa alla presenza, nelle immediate vicinanze, “di almeno due persone con la macchina fotografica”.
A concludere la serata l’autore. Il libro, ha spiegato, “è il risultato di una lunga gestazione: l’elaborazione è iniziata dal momento in cui ho scoperto l’esistenza di una lista delle vittime del terrorismo; lista in cui mancava il nome di mio fratello Stefano”. Un libro pensato “soprattutto per i giovani: è a loro che vorrei trasmettere un messaggio”. Il silenzio che urla, un titolo dai molteplici significati. “È il silenzio – ha detto Gadiel – che mi sono portato dentro per anni; ma anche quello che ha segnato il funerale di Stefano, espressione della rabbia di un’intera comunità; è il silenzio dello Stato, che non ci ha aiutato a trovare colpevoli e mandanti dell’attentato”. Così la madre Daniela, in un breve saluto: “Abbiamo combattuto e sofferto insieme. Insieme continueremo a farlo”.