Cicliste afghane, messaggio di libertà
Di nuovo sui pedali
nel segno di Israele
Sport e solidarietà contro ogni forma di oscurantismo. È il messaggio con cui ha preso il via il campionato di ciclismo su strada femminile dell’Afghanistan. Sullo sfondo non le vette dell’Hindu Kush familiari a molte delle atlete in gara ma il profilo più delicato delle Alpi di Svizzera, uno dei Paesi coinvolti all’interno di una rete internazionale di soccorso per le vittime della repressione talebana avviata dal magnate israeliano Sylvan Adams. Delle cinquanta atlete partite stamane da Aigle un terzo circa proviene dall’Aquila (da loro raggiunta grazie ai corridoi umanitari). Così, tra le altre, Marjan Seddiqi: “Sono un essere umano, una donna e una ciclista. Per andare in bicicletta ho rischiato la vita. Mi hanno sparato, ma non ho rinunciato. Col ritorno dei talebani sono fuggita, ho trovato una nuova casa e adesso sto per disputare la mia prima gara in libertà”.
In Svizzera è arrivato anche Adams, il patron della Israel Premier Tech. Maglia che le sportive afghane sono state ben liete di indossare, sventolando anche la bandiera italiana che per molte di loro è diventata, per l’appunto, una “nuova casa”. Con l’occasione il filantropo ha parlato del suo impegno: “Quando ho saputo che molte cicliste erano rimaste bloccate in Afghanistan, un Paese dove sarebbero state perseguitate o uccise per il solo fatto di andare in bicicletta, ho sentito il dovere di aiutare. Essere in grado di offrire questo aiuto come ebreo, e come proprietario di una squadra israeliana, è stato ancora più significativo: un segno di vera responsabilità condivisa. Il Talmud ci dice che anche una singola vita salvata eleva il nostro mondo”.