Casale, l’incontro in sinagoga
Storia ed eredità di un “Giusto”

Ci sono tanti modi di raccontare la storia di Giuseppe Brusasca. “Siamo qui per commemorare un giusto” ha annunciato Adriana Ottolenghi, Consigliera della Comunità ebraica di Casale, di fronte a una sinagoga gremita. Un modo è partire da qui, da quest’uomo ricordato allo Yad Vashem di Gerusalemme. Ma anche raccontare di giustizia universale che trascende la legge degli uomini e arriva alla nostra memoria. Elio Carmi, il presidente della Comunità ebraica, sceglie un altro approccio. Ricordando i recenti fatti di cronaca cittadina che hanno visto l’uccisione di un giovane monferrino, per condannare l’indifferenza. “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te è il fondamento base dell’ebraismo”, sottolinea. Ma Brusasca è andato oltre, ha dato agli altri quello di cui avevano bisogno. E qui comincia il racconto, toccante e lucido, della figlia Clotilde Gallizia Brusasca. Una storia che ha radunato in sinagoga tanti amici di questa famiglia originaria di Cantavenna. Questa la sua testimonianza: “Quando uno soffre non possiamo far finta di niente, lo diceva già mio nonno che era stato uno dei fondatori del Partito popolare e quindi antifascista. A un certo punto è stato messo in carcere e mio padre minacciato, così la mia famiglia si è trasferita a Milano, per tornare a Cantavenna dopo i primi bombardamenti. Qui abbiamo cominciato a sentire voci sugli ebrei in pericolo, finché un giorno, tornando dalla scuola, io e mia sorella abbiamo trovato il cortile pieno di gente tremante con i loro fagotti. Mi ricordo che mi fecero entrare in una botte, perché ero piccola, per aiutarli a nascondere i beni che avevano con sé. Erano una famiglia di gioiellieri, i Foa, e furono accompagnati personalmente da mio padre in Svizzera. Poi da Milano arrivarono le famiglie Donati e Sacerdoti. In parte vennero nascosti dal parroco nella canonica di Isolengo. Con loro avevano tre bambine che la mia zia Maria riuscì a portare all’istituto Mazzone. Alla fine riuscimmo a farli arrivare tutti sani e salvi in Svizzera”.
Cantavenna fu anche teatro di uno dei più brutali rastrellamenti nazifascisti nel Monferrato. Un episodio che Clotilde Brusasca ricorda bene: “Tutti sapevano che mio padre aveva contatti con i partigiani e organizzato la Brigata Patria. Io mi trovai davanti due soldati nazisti con i cani lupo e poi si cominciò a sparare. Cantavenna è fatta a ferro di cavallo, partigiani e tedeschi erano alle due estremità. Scappai, ma la zia Maria rimase per sorvegliare il tesoro che ci era stato affidato. I tedeschi bruciarono tutto ma la nostra casa fu una delle poche a salvarsi, insieme a zia Maria”.
“Gli ebrei sono sempre stati considerati fratelli che avevano bisogno di aiuto, non serviva un altro motivo a mio padre per fare quello che ha fatto – conclude Clotilde – Non dobbiamo mai dimenticare che abbiamo tutti un cuore ed è la cosa più importante che mi ha insegnato”.
“Persone come Clotilde Brusasca sono un punto di resistenza al male – ha concluso la storica Anna Maria Samuelli – I giusti riescono a cogliere i segni del male al loro sorgere per prevenirlo, sono l’antidoto all’odio. La loro memoria è il luogo dove dobbiamo raccoglierci per pensare che se qualcuno ha avuto il loro coraggio dobbiamo averlo anche noi”.
Ma le storie di Giuseppe Brusasca non finiscono qui: poco distante, in sala Carmi, è possibile vedere il bel video documentario dedicato a questo “Giusto”. Realizzazione tecnicamente ineccepibile e contenuto toccante. Si apre con la piccola Lucia, la nipotina di Clotilde, che chiede del bisnonno”. Ci ha fatto promettere una cosa, risponde la nonna, “di ricordare”. La promessa è stata mantenuta.
Alberto Angelino