“Lasciare la Russia, scelta necessaria”

Elaborando l’esperienza del suo primo Yom Kippur lontano da Mosca dopo trent’anni ininterrotti di magistero, il rav Pinchas Goldschmidt raccontava dell’apparente paradosso che lo aveva colpito. La sensazione, cioè, di vivere come in “esilio” nella patria millenaria del popolo ebraico: Gerusalemme.
“La frizzante aria autunnale di Mosca; la sinagoga ricca di luce che chiamavo casa; il mio cappello bianco e la tunica che si indossa nei giorni di solennità, piegati, in un appartamento chiuso a chiave: sembra tutto un sogno”, scriveva sul New York Times a inizio ottobre. Una scelta dolorosa ma “necessaria” quella di lasciare la capitale russa in dissenso con l’operato criminale di Vladimir Putin nei confronti dell’Ucraina.
Scelta rivendicata dal rav anche in queste ore, ospite della conferenza internazionale ‘Il grido della pace” organizzata a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio. “Non è stato semplice, ma era un dovere farlo. I leader religiosi hanno la necessità di parlare chiaro” ha esordito il rav, attuale presidente della Conferenza dei rabbini europei, nell’ambito di un incontro dedicato a ‘Responsabilità delle religioni nella crisi della globalizzazione’. Crisi che il rav ha riconosciuto essere molto significativa.
“Va tutto molto veloce ormai. Prendiamo il caso di una persona che debba trascorrere degli anni in carcere, mettiamo cinque. All’uscita non sarà più in grado di riconoscere il linguaggio e la tecnologia della società di cui si troverà di nuovo a far parte”, l’esempio portato all’attenzione della platea. In questo senso, ha detto ancora, “la religione può svolgere una funzione essenziale, andando oltre la contingenza del momento e offrendo una prospettiva che unisce passato, presente e futuro”.
Le religioni, il suo messaggio, “devono essere al fianco delle vittime della globalizzazione: essere motivo di conforto e cura per poveri, ammalati, disoccupati”. E inoltre, ha aggiunto l’ex rabbino capo di Mosca, “dare identità e plasmare un senso di comunità”. A tutti i livelli, d’altronde, “c’è molta solitudine: e non la si può mascherare con migliaia di ‘amici’ sui social network; alla fine il rischio è di restare soli”. Senso di comunità e appartenenza da vedere anche come antidoto “all’abbraccio con forze radicali e votate all’autodistruzione”. Più impegno, quindi, “per offrire calore e senso della famiglia”.
Nel mondo, ha concluso il rav, “ci sono oggi all’incirca 15 milioni di ebrei: un milione sono haredim; appartengono in genere alla fascia più povera, ma anche più felice”. Il motivo è semplice, la chiosa finale del rav Goldschmidt: “Nelle loro comunità questi sentimenti sono più vivi che altrove”.

a.s twitter @asmulevichmoked