Nove ottobre, il ricordo dei giovani

Mentre cade a terra sotto i colpi dei terroristi palestinesi Daniela Gaj Taché, la madre del piccolo Stefano, esclama: “Non voglio morire”. Frase dalla quale è possibile captare “un significato trasversale ed egualmente profondo”. Se da una parte c’è infatti “un’esplicita richiesta di vita”, dall’altra “questa risuona come un imperativo morale nei confronti della giovane vittima: non dovrà morire nella memoria collettiva del paese”. Ruota attorno a questo concetto l’omonimo documentario prodotto da HaTikwa (la testata Ugei) nel quarantesimo anniversario dall’attentato al Tempio Maggiore di Roma. Al centro la voce dei testimoni, ma anche un focus sui vari temi aperti. A partire dalle mancanze dello Stato in termini di sicurezza garantita e dalle ombre scaturite dal cosiddetto “Lodo Moro”. Senza dimenticare il clima d’odio, incarnato tra gli altri dall’episodio della bara, delle settimane in cui maturò l’attacco.
Il documentario – realizzato da David Di Segni con la supervisione tecnica di Luca Clementi e Luca Spizzichino – è stato presentato nel corso di una serata svoltasi al Tempio Bet Michael alla presenza e con la partecipazione dei familiari di Stefano: i genitori Joseph e Daniela e il fratello Gadiel. Proiezione, ma anche studio e parole di Torah attraverso un limmud: ad intervenire sono stati il maskil Cesare Efrati e Federico Spizzichino, un giovane della Comunità ebraica romana.
Michael era il nome ebraico di Stefano. Negli scorsi giorni, all’ingresso della sinagoga, è stata apposta una targa che ne vuole perpetuare il ricordo. Vi si legge: “Il mondo non si mantiene altro che grazie al merito dei sussurri dei piccoli bambini che sono nelle scuole dei loro maestri”.