La lezione di Amalia Segre Artom

Una donna d’eccezione, piccola, riservata, severa, ma non autoritaria, rigorosa, giusta in tutte le sue azioni e i suoi comportamenti: questi alcuni tratti di Amalia Segre Artom, messi in luce da tutti gli intervenuti alla serata organizzata dall’ASSET, l’Associazione ex allievi e amici della Scuola Ebraica di Torino nei cinquant’anni dalla sua scomparsa.
Amalia Segre Artom (1890-1972) è stata per circa vent’anni la preside della Scuola media ebraica di Torino, intitolata al figlio Emanuele Artom.
Introdotti da Giulio Disegni, presidente dell’Asset, si sono avvicendati i ricordi e le testimonianze di ex allievi e di ex docenti, che hanno condiviso storie, aneddoti ed emozioni di una stagione iniziata nei primi anni del dopoguerra e conclusasi nel 1972 con la scomparsa della preside Artom.
Il quadro storico di quella stagione e il contesto familiare è stato tracciato da Alberto Cavaglion, che ha ricordato insieme a lei le tre figure che hanno costituito il nucleo familiare di Amalia Artom: il marito Emilio, insigne matematico, il figlio Ennio morto ventenne in un incidente in montagna e l’altro figlio, Emanuele, organizzatore insieme al fratello di un circolo culturale ebraico, a cui parteciparono molti giovani ebrei torinesi, entrato nelle formazioni partigiane, poi arrestato, torturato e ucciso giovanissimo nel 1944.
Il dolore profondo che ha contraddistinto la vita di Amalia Artom era parte di lei, ma non ne ha mai fatto parola, solo qualche lacrima bagnava il suo volto, come hanno evidenziato rav Luciano Caro e Ornella Sierra, entrambi docenti di materie ebraiche per lunghi anni, che hanno ricordato tratti salienti della sua personalità, schiva e contraddistinta da alto senso di responsabilità.
I valori della giustizia, dell’onestà, del rigore, unito a una bontà di fondo, e soprattutto dello studio come valori fondanti per i giovani, sono stati messi in luce da tre ex allievi: Giulia Levi, Massimo Segre e Daniele Garrone.
Proprio quest’ultimo, biblista, pastore protestante e oggi presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ha così riassunto chi era veramente Amalia Artom e che cosa ha trasmesso alle generazioni di studenti che hanno avuto il privilegio di averla come preside: “vedo come fosse oggi la sua figura austera, forte e fragile insieme, di signora minuta, con il suo grembiule nero da insegnante, col colletto bianco, i bianchi capelli raccolti nello chignon. Ci trasmetteva con rigore e passione il senso della libertà e del suo prezzo. Ci insegnava il coraggio civile e la postura nel mondo della persona responsabile. Dalle sue parole abbiamo imparato che cosa volesse dire avere “coraggio civile” e difendere la dignità umana negli anni bui della dittatura e quale imperativo morale ci stesse davanti. Il suo volto celava sofferenza e insieme promanava serenità. La cruda memoria dell’orrore produceva in noi non solo sdegno, ma anche la sensazione che non avremmo più potuto non fare nostri i valori morali e civili per cui suo figlio era morto, non avremmo mai potuto ragionare in termini di “razze”, non avremmo mai potuto accettare nessun tipo di pregiudizio o discriminazione”.