Brasile, Lula presidente

A dodici anni dall’ultimo mandato, dopo aver passato 580 giorni in carcere ed essere stato poi scagionato dall’Alta corte nazionale, Luiz Inácio Lula da Silva conquista nuovamente la presidenza del Brasile, sconfiggendo di poco (50,90 contro 49,10) il candidato della destra e capo di Stato uscente Jair Bolsonaro. “Non ci sono due Brasile. Siamo un solo Paese, un solo popolo, una sola grande nazione”, le parole di Lula dopo la vittoria. Bolsonaro è invece il primo presidente in 34 anni a non ottenere la riconferma e il New York Times lo descrive così: “per anni ha attirato l’attenzione mondiale per le politiche che hanno accelerato la distruzione della foresta amazzonica e aggravato la pandemia, che ha causato quasi 700.000 morti in Brasile, diventando al contempo una figura di spicco dell’estrema destra internazionale per i suoi attacchi sfrontati alla sinistra, ai media e alle istituzioni democratiche brasiliane”.

Israele verso il voto. Continua l’attenzione sui media italiani per le imminenti elezioni in Israele, dove domani milioni di israeliani torneranno al voto per la quinta volta in tre anni e mezzo. L’eventualità di un nuovo stallo è sempre la più citata, ma da Repubblica a Libero si ricorda anche come l’ex Premier Benjamin Netanyahu sia dato in vantaggio. Il suo blocco appare avanti, ma senza maggioranza (60 seggi su 120). Chi sicuramente uscirà rafforzato dalle urne, è il partito di estrema destra Sionismo Religioso guidato da Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir che dovrebbe conquistare tra i 13 e i 15 seggi. Ben Gvir in particolare, noto per le sue posizioni estreme, secondo Repubblica “viene trattato da molti come una rock star. All’evento di Gerusalemme si notano tanti ragazzini, quasi tutti riconoscibili come membri della comunità dei nazional religiosi. Fuori dalla sala però, a ricordare come una metà di Israele – inclusi tanti ebrei osservanti – consideri Ben Gvir un personaggio inaccettabile – un gruppo di manifestanti protesta contro l’evento, sventolando cartelli ‘Sionisti-religiosi contro il razzismo’. Un simbolo – scrive Repubblica – di quanto la società resti profondamente spaccata. Il che potrebbe precipitare a breve lo Stato ebraico verso nuove elezioni”. Sul Fatto Quotidiano ci si interroga se gli arabi israeliani, possibile ago della bilancia, andranno a votare e su cosa faranno i nuovi immigrati da Ucraina e Russia. Libero evidenzia invece come il centrista Lapid si presenti al voto con in tasca il successo dell’intesa sui confini marittimi con il Libano. Un risultato però non sufficiente, aggiunge il quotidiano, per dare al suo blocco una speranza di vittoria.

25 aprile. La posizione espressa dal presidente del Senato Ignazio La Russa sul 25 aprile a La Stampa in un’intervista di ieri continua ad essere molto discussa (Alla domanda, se parteciperà alle manifestazioni della Liberazione aveva risposto: “Dipende. Certo non sfilerò nei cortei per come si svolgono oggi”). In una lettera pubblicata oggi dal quotidiano e diretta al direttore Massimo Giannini, La Russa contesta il titolo scelto per l’intervista (“Non festeggio questo 25 aprile”) e scrive: “ho detto chiaramente non solo di rispettare la ricorrenza ma anche, quando ho avuto un alto ruolo istituzionale, di averla onorata deponendo, con atto non dovuto, fiori al Monumento dei partigiani nel cimitero di Milano. Additare invece il carattere divisivo di diversi cortei del 25 aprile (ricorda come fu trattato il padre partigiano di Letizia Moratti, l’accoglienza riservata alla Brigata ebraica, i fischi a molti antifascisti non comunisti?) significa che è forte in me il desiderio di una pacifica celebrazione di tutti per la libertà riconquistata nel 1945”. La Stampa dà conto poi di diverse voci che contestano la posizione di La Russa. Lo storico Umberto Gentiloni definisce ad esempio “grave” che la seconda carica dello Stato “mantenga un’ambiguità” sul tema dell’antifascismo. Per un altro storico, Marco Revelli, sui festeggiamenti per il 25 aprile “non ci si può trincerare dietro a un ‘dipende’”. “Parole gravi, così disonora il Senato”, l’accusa del leader del Pd Enrico Letta, intervistato sempre da La Stampa. A difendere La Russa, il fondatore di An Gianfranco Fini, secondo cui quel “dipende” sia dovuto al rischio per il presidente del Senato “di trovarsi in compagnia di quei giovanotti che in nome dell’antifascismo lo hanno minacciato di morte”.

Nostalgici a Predappio. “Nostalgici del Ventennio che sfilano cantando «Faccetta nera» e «All’armi siam fascisti». Eppoi camicie nere, croci celtiche, tatuaggi, saluti romani, fasci littori, fez. Perfino bimbi vestiti da Balilla e bavaglini per bebè con la scritta «me ne frego» in vendita nei negozi di souvenir”. È il racconto del Corriere di quanto avvenuto ieri a Predappio, dove oltre 2 mila persone si sono radunate per il centenario della marcia su Roma. “La vergogna di Predappio” la sintesi de La Stampa. Repubblica riporta le parole di Mirco Santarelli, presidente della sezione Arditi di Ravenna: “Con la Meloni speriamo di avere un dialogo, ci ha liberato dalla sinistra e sarebbe bello se cambiasse la legge Mancino perché la sinistra la usa contro di noi come olio di ricino e punisce le opinioni”. A proposito di leggi, il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo a Ls Stampa ricorda come l’apologia di fascismo sia un reato e si chiede “perché la legge non viene applicata a Predappio?”.

Mondo arabo e antisemitismo. “I Giardini dei Giusti anche nel mondo arabo, antidoto ai pregiudizi e all’antisemitismo”, è il titolo dell’intervento sul Foglio del presidente di Gariwo Gabriele Nissim, in cui racconta dell’inaugurazione di un Giardino dei Giusti ad Halabja, in Iraq.

Merito. La Verità intervista sul tema della meritocrazia l’economista Roger Abravanel, che auspica un impegno serio a riguardo del nuovo governo – al di là del ministero dedicato proprio al merito – e racconta un po’ della sua biografia. “Mio padre non ha potuto lasciarmi patrimoni, confiscati dalla rivoluzione libica contro gli italiani ed ebrei, ma mi ha spinto a laurearmi al Politecnico di Milano a 21 anni, fare il militare, poi il master e poi a McKinsey per 35 anni, dove la meritocrazia è stata un valore essenziale”, afferma Abravanel, parlando da Tel Aviv. “Qui 20 anni fa aprii l’ufficio della McKinsey e dal 2006 sono membro di prestigiosi consigli di amministrazione. Qui è tutto un fervore di meritocrazia, istruzione, scienza e opportunità per i giovani: viene spesso dimenticato dai media che mostrano solo la politica e il conflitto con i palestinesi”.

Daniel Reichel