Le prove di Abramo

“A dieci prove fu sottoposto Abramo nostro padre” (Mishnà, Avot 5;3). La nostra parashà ci presenta Avrahàm Avinu, il quale fu meritevole di essere stato il capostipite del popolo ebraico e del monoteismo in generale. La prima parashà in cui si parla di lui inizia con le parole “lekh lekhà – va per te”. Sostengono i mefareshim che con l’espressione lekh lekhà iniziano le dieci prove a cui il patriarca fu sottoposto e terminano con la stessa espressione “lekh lekhà” nei capitoli più avanti. Con il primo “lekh lekhà” (Bereshit 12;1) il Signore chiede ad Abramo di abbandonare la propria nazione, la propria città e la casa natale, mentre con il secondo “lekh lekhà” gli viene chiesto di offrire suo figlio Isacco in sacrificio (Bereshit 22;2). A questi due forti e onerosi imperativi divini i Chakhamim danno una interpretazione riguardo la vita del Patriarca. Essi insegnano che: “Con il primo lekh lekhà il Signore chiede ad Abramo di rinunciare al suo passato: la nazione, la terra natia e la casa paterna; mentre con l’ultimo lekh lekhà gli chiede di rinunciare – almeno momentaneamente – al suo futuro, offrendo in sacrificio il suo unico figlio, che avrebbe dovuto, da promessa divina, garantire la prosecuzione della sua discendenza”. Avraham dimostra la sua grande fiducia in D-o e questo lo rende meritevole di risparmiare Isacco. Sarà lui a portare avanti la discendenza di suo padre.

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Venezia

(4 novembre 2022)