“Cori antisemiti nelle curve,
serve una reazione ampia”
È un male antico l’odio antisemita e razzista che non ha smesso di corrodere le curve degli stadi italiani. Un tema lacerante il cui riverbero si propaga molto oltre gli ambienti del tifo e i novanta minuti di una partita di pallone. Ad evidenziarlo, in un’ampia intervista concessa alla Gazzetta dello Sport, il più importante quotidiano sportivo nazionale, è la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. Un colloquio approfondito che prende spunto dall’ultimo episodio di cronaca ma che tocca varie questioni aperte di un problema che si presenta come esteso e in larga parte irrisolto. Anche per la responsabilità dei singoli club. “Ogni tipo di coro, antisemita, o che inneggia ad altre forme di razzismo, lo vivo come una pugnalata”, racconta Di Segni alla Gazzetta. Essenziale, prosegue, è reagire. Ed è “un lavoro che non può venire soltanto dagli ebrei: la reazione al disagio, al male, al dolore provocato da cori o striscioni chiama in causa tanti soggetti”. Tra gli altri “la filiera calcistica, la politica, la magistratura, ma anche la scuola”. Al riguardo Di Segni osserva: “I momenti in cui si comincia a vivere il calcio, a giocarlo, a tifarlo, sono decisivi. Bisogna contrastare questa banalizzazione offensiva secondo la quale dire ebreo è un insulto nei confronti dell’avversario. È una questione di cultura che riguarda tutte le famiglie”. È chiaro, aggiunge poi, che c’è una responsabilità della politica e della magistratura. Soprattutto “ci colpisce in qualche circostanza l’assenza di tempestività; e poi sappiamo che molto spesso le stesse persone soggette a Daspo le ritroviamo da uno stadio all’altro e la legge non viene applicata”. L’esempio che viene fatto è quello degli adesivi con Anna Frank in maglia giallorossa che, nell’autunno del 2017, suscitarono molte reazioni indignate. “Ci siamo mossi, le cause sono partite, i responsabili sono stati individuati, poi per una serie di tecnicismi procedurali siamo ancora lontani dalla fine delle indagini. Bisogna definire meglio il reato di odio”, chiede Di Segni. E questo compito “è del legislatore, ma non è un problema solo di norme, anche di cultura”. Per quanto concerne i rapporti con il calcio e le sue istituzioni la presidente UCEI commenta: “Ci si sta lavorando, anche sotto il profilo di norme che possono essere inserite nei regolamenti e negli statuti. Quando noi parliamo uno a uno con i club c’è una grande disponibilità, ma poi molto spesso si rimanda tutto alla Federazione. Con cui noi ovviamente siamo in contatto. Quello che voglio dire però è che l’iniziativa nel Giorno della memoria non basta, non può bastare”. A volte, aggiunge Di Segni, “non si riesce a rispondere con una reazione immediata”. Fatica “è la parola giusta: sì, bene, interessa, vediamo, però non sempre tutto questo genera una reazione e un intervento”.
L’intervista alla Gazzetta è stata tra gli altri commentata dal numero uno del calcio italiano Gabriele Gravina. “I cori beceri al derby? Si contrastano con forme di repressione e campagne di educazione, a cominciare da famiglie e scuole. Al di là della discriminazione razziale o territoriale, è una ferita lacerante nella nostra socialità”, le sue parole a margine di un evento tenutosi a Roma. “Con la presidente dell’UCEI stiamo creando dei percorsi collaborativi. Reprimere, educare e soprattutto prevenire: questa è la risposta”.