Foschi presagi e incoraggianti speranze
Sono passate appena poche settimane dal mio ultimo intervento, eppure a giudicare dalle nubi sempre più minacciose che nel frattempo hanno continuato ad addensarsi sull’Italia e sull’Europa sembra siano trascorsi mesi.
Riepiloghiamo. Sul fronte italiano, dopo il successo netto e coralmente previsto di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni in particolare, è nato il governo più a destra della storia repubblicana, mentre un fascista dichiaratamente nostalgico di Mussolini come Ignazio La Russa diviene Presidente del Senato e un cattolico intransigente come Lorenzo Fontana assume la guida della Camera. Non sappiamo ancora cosa ci dobbiamo attendere, ma le premesse istituzionali non sono delle migliori. Paradosso illuminante e ammonitore, a investire in Senato il nostalgico è stata – in quanto senatrice più anziana dopo Giorgio Napolitano – l’attuale emblema della memoria italiana della Shoah, Liliana Segre. Le parole con le quali la Testimone ha di fatto aperto la XIX Legislatura sono state, nel loro sofferto spessore autobiografico e nel loro fermo richiamo alla centralità della Costituzione, l’unico alto messaggio che si sia ascoltato in questo periodo amaro. Da quel 13 ottobre si sono sentite solo dichiarazioni inconsistenti o strali avvelenati contro compagni di cordata, a dimostrazione del vuoto gioco di potere in cui si è ormai trasformato il programma politico italiano. Ad aggravare l’atmosfera di rivalità caotica interna alla nuova come del resto alla vecchia maggioranza, sono poi emerse le ineffabili, spudorate ma ahimè (entro Forza Italia e nella Lega) condivise considerazioni berlusconiane di appoggio a Putin e di critica aperta a Zelensky e alla resistenza ucraina; parole di una gravità tale – nel momento in cui cinicamente lo zar Vladimir risponde agli attacchi bombardando la popolazione civile ucraina e imponendo la legge marziale nelle città appena annesse alla Russia – da suscitare la preoccupazione dell’intero mondo occidentale. Berlusconi certo sembra ormai partito per la tangente, parla per il piacere di sentirsi parlare cercando solo il consenso dovuto al capo che fu; Giorgia Meloni per fortuna risponde in modo fermo, volto a scongiurare dubbi e riserve sull’Italia futura. Ma in realtà le incognite sul nostro orientamento politico internazionale nei prossimi mesi restano tutte.
In Ucraina, intanto, la guerra continua spietata più che mai. Al contrattacco degli assediati rispondono le bombe sulle città portate dai droni iraniani, a suggello del sempre più stretto e inquietante legame della Russia – in funzione antieuropea – col regime degli Ayatollah. E proprio in Iran continuano i nostri tormenti, nell’osservare come la libertà di opporsi al regime naufraghi contro una repressione spietata e sanguinaria, specialmente accanita contro la protesta femminile. Davanti a tutto ciò, peraltro, colpisce lo stupore “vergine” con cui l’Occidente, troppo spesso legato all’Iran da interessi economici irrinunciabili, sembra accorgersi solo oggi della ferocia integralista di una dittatura religiosa nata quarantatré anni fa e della tenacia di una protesta popolare che ciclicamente si ripropone da decenni. Il filo di inquietudine amara si prolunga poi in oriente tra Pechino e Taiwan, dato che Xi Jinping si dice disposto a usare anche la violenza (la guerra aperta?) per prendere il controllo dell’isola: e ciò provocherebbe inevitabilmente l’intervento armato americano (anch’esso preannunciato), vale a dire una vera e propria terza guerra mondiale. Insomma, in Italia e nel mondo l’orizzonte si fa sempre più cupo.
Di fronte a un panorama così sconfortante, cosa resta da fare al povero cittadino coinvolto e impotente se non rifugiarsi nel proprio “particulare” abitudinario, alla ricerca di qualche piccola conferma e di qualche piccola grande speranza per il futuro? Nella fattispecie, a un ebreo italiano partecipe della vita della propria Comunità come il sottoscritto si apre il cuore quando al Bet ha-Kenesset vede – come qui a Torino poche settimane fa – una partecipazione nutrita e allegra di giovani famiglie e di bambini, riuniti per la Beracha’ loro destinata nel giorno di Sheminì Atzeret. Tanto più se come me è nonno da poco. Certo, lo so, orizzonte politico italiano/mondiale e orizzonte socio-religioso locale hanno poco a che fare l’uno con l’altro, e le prospettive generali non migliorano se i giovani ebrei mostrano un sentimento più partecipe della propria identità e una partecipazione più convinta ai momenti topici dell’ebraismo. Oltretutto probabilmente si tratta di un fatto episodico e locale pronto a essere smentito nei prossimi mesi, non di una tendenza effettiva della società ebraica italiana. Eppure la volontà di ritrovarsi uniti in una fase così incerta e minacciosa avrà pure qualche significato. (20/10/2022)
David Sorani