Il fariseo e il pubblicano  

In tutte le chiese cattoliche in ottobre si legge la parabola del fariseo e del pubblicano: entrambi sono in preghiera nel Tempio, ma la preghiera del primo è rifiutata, quella del secondo accolta (Lc 18,9-14). Il fariseo è un uomo giusto, o che cerca di fare tutto il possibile per esserlo, il pubblicano è un peccatore e un collaborazionista dei Romani. Cosa voleva insegnare Yeshua/Gesù con questo mashal? Che è meglio essere peccatori che giusti? Evidentemente no. E quale insegnamento devono trarne gli ascoltatori di oggi, che i cristiani che non sono tenuti ad osservare la Legge sono migliori degli ebrei che invece si sforzano di osservarla? Altrettanto evidentemente no. Eppure, se nei commenti la parabola non viene adeguatamente contestualizzata, paradossalmente l’effetto rischia di essere proprio questo, anche al di là delle intenzioni.
“Il fariseo adora il proprio io”, “quello che il fariseo adora non sono altro che le norme della legge” “si rivolge alla caricatura di Dio, alla sua maschera deforme” abbiamo letto i1 20/10 su Avvenire in un articolo di Padre Ermes Ronchi. Padre Antonio Spadaro vede il fariseo che prega tra sé nei panni della regina Grimilde che si rivolge allo specchio delle sue brame, e parla di arroganza, presunzione, delirio, autocelebrazione (il Fatto Quotidiano di oggi). Di diverso tenore l’articolo di Ester Abbattista, biblista, su Il Regno del 19/10.
Yeshua/Gesù era un ebreo che osservava la Torah e le mitzwot e insegnava ai suoi discepoli, che pure le osservavano, a non inorgoglirsi e a non disprezzare chi non le osservava, perché chi ritiene di essere giusto è paradossalmente un peccatore, chi riconosce di essere peccatore viene perdonato, chi si innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà innalzato. Poiché questo mashal raccontato da un ebreo ad altri ebrei da secoli e secoli non viene letto dagli ebrei ma viene letto dai cristiani, occorre da parte dei commentatori uno sforzo ulteriore di attenzione per non continuare ad alimentare quegli stereotipi che tanti danni hanno causato. Ad esempio già scrivere “Il fariseo della parabola” consentirebbe di evitare di vedere nel fariseo in generale l’archetipo negativo di una falsa religiosità. (23/10/2022)

Marco Cassuto Morselli