Veneziani e il teatro alla Scala,
storia di un’ingiustizia

Il Museo Nazionale dell’Ebraismo e della Shoah – Meis ha organizzato in queste ore, in collaborazione con l’Accademia Corale Vittore Veneziani e l’ISCO di Ferrara, un incontro dal titolo “Note sulle note”, dedicato a due grandi musicisti ferraresi: Vittore Veneziani e Fidelio Finzi.
Questo mi ha ricordato un mio intervento alla conferenza stampa del 12 giugno 2018 del Teatro alla Scala di Milano per la presentazione del Fidelio di quell’anno, nel quale parlai, tra l’altro, proprio, di Vittore Veneziani.
Il teatro alla Scala dedicò in quell’occasione la rappresentazione del Fidelio, unica opera lirica di Ludwig Von Beethoven, alla memoria di due grandi musicisti, Erich Kleiber (Vienna, 1890) e lo stesso Veneziani (Ferrara, 1878),
Kleiber era stato il celebre direttore d’orchestra, di origine austriaca vivente in esilio, che rifiutò, benché già scritturato, di dirigere, alla Scala, proprio Fidelio, perché aveva appreso che ai cittadini ebrei, dopo il varo delle leggi antiebraiche dell’Italia fascista, erano stati revocati gli abbonamenti già acquistati per l’anno 1939.
Vittore Veneziani, stimato compositore e direttore del coro stabile, chiamato da Arturo Toscanini fin dal 1921, era stato una delle vittime di quella odiosa legislazione antiebraica ed era stato allontanato dalla Scala. Nel suo quadernetto in cui annotava giorno per giorno gli appuntamenti della sua frenetica vita dedicata all’arte, alla musica e all’elevazione dello spirito scrisse: “Licenziato dall’incarico alla Scala perché di razza ebraica”. Tornò a casa la sera e la trovò piena di fiori, segni di solidarietà e di rimpianto. “Ho assistito al mio funerale” disse Veneziani quella volta. Si chiuse nel suo dolore e non accettò di firmare contratti all’estero perché abbandonare l’Italia, secondo lui, avrebbe avvallato l’ingiustizia.
Nell’autunno del 1941, Veneziani accettò, e non ne fu e non se ne sentì diminuito, di diventare maestro del coro delle sinagoghe di Milano, Torino e Firenze e delle scuole ebraiche di Milano e di Torino, dove tanti professori liceali e universitari si adattarono ad insegnare perché licenziati dalle scuole pubbliche. Fu il contrario di quello che auspicavano le autorità fasciste: “la scuola per ebrei”, come venne sprezzantemente definita, diventò, grazie a questi eccezionali maestri, un’isola di alta cultura, di discussione e di educazione libera. Come scrisse un altro milanese eccellente, Guido Lopez, suo allievo nel coro e autore del suo discorso funebre nel 1958: “in un mondo che andava franando, in giorni cupi per noi di kafkiane minacce, egli ci ancorò ad un bene che non si incrina e mai come in quel tempo un coro fu colloquio di anime, reciproco sostegno, purificazione dal dolore, riparo e certezza”. Da quel bellissimo discorso funebre, ho tratto tutte le notizie di questa breve ricostruzione.
Il 21 febbraio 1944, Veneziani si decise a fuggire in Svizzera e là continuò a comporre, a insegnare musica anche alla comunità dei valligiani. La notizia che l’incubo era finito, che poteva rientrare, che Toscanini lo voleva di nuovo con sé, lo colse a Roveredo, nei Grigioni.
Il 28 novembre del 1945, al Teatro Lirico di Milano, il suo concerto corale fu la prima manifestazione ufficiale del ricostruendo Teatro alla Scala, danneggiato dai bombardamenti alleati il 15 e il 16 agosto 1943. Veneziani riprese, senza rabbia verso alcuno, il suo posto di astro nel panorama artistico e musicale di Milano.

Liliana Picciotto

(Nell’immagine, Vittore Veneziani – Archivio Fondazione Cdec)