Solo poche righe sui libri di storia
In questa fase di parole sbandate ed eccessive, tese più a colpire e a coprire che a significare concetti e a proporre contenuti, le parole di Liliana Segre spiccano sempre per la loro profondità, centralità, essenzialità. Già il suo discorso al Senato per l’inaugurazione della legislatura era emerso su tutti gli interventi per la concretezza pregnante del richiamo alla Costituzione quale timone irrinunciabile e direzione orientativa basilare di qualsiasi governo si apprestasse a guidare il Paese. Il recente intervento milanese al Forum delle Donne Ebree d’Italia è tornato a soffermarsi sul tema più legato al suo ruolo di testimone del passato per le generazioni attive nel presente, quello della memoria e della conoscenza storica. Una frase del suo discorso in particolare mi ha colpito e mi pare offrire stimoli per domande e riflessioni: fra non molto, del ricordo della Shoah resterà solo qualche riga sui libri di storia. È strano, la senatrice sempre così costruttiva e fiduciosa stavolta appare pessimista, quasi scettica rispetto alla nostra epoca e alla sua capacità di conoscere e di imparare dagli orrori del passato, forse anche dubbiosa nei confronti dell’efficacia del suo personale messaggio. Da cosa deriva questa sua attuale amarezza? È difficile – guardando al nostro tempo, alle sue amnesie, al suo linguaggio di odio, al suo riemergente e sempre rinnovato antisemitismo – darle torto. La società non rammemora le lezioni dei tempi bui, tende a cancellare gli abissi della storia per il terrore che suscitano, senza capire che il portarne memoria aiuta a comprenderne la genesi e ad allontanarne la replica.
I dubbi e le fosche previsioni della grande testimone, che rappresenta la saggia consapevolezza dalla quale dovremmo tutti essere guidati, ci spingono a interrogarci sulle cause di questo nostro progressivo scivolamento verso l’oblio totale, evidente e inarrestabile nonostante l’accumularsi delle testimonianze, il succedersi meritorio dei Giorni della memoria, la costruzione continua di percorsi scolastici che coinvolgono insegnanti e studenti. È come se ogni anno si tracciassero strade nuove e significative per poi cancellarle e dover ripartire ogni volta da zero, rammentando ogni volta di meno e perdendo progressivamente il senso degli eventi di fondo, il quadro della situazione storica in cui i totalitarismi fascisti hanno potuto affermarsi e tracciare il loro percorso distruttivo.
L’inevitabile eclissarsi delle testimonianze dirette di chi ha vissuto quegli anni è un fatto oggettivo, che certo contribuisce all’allontanamento generale dalla memoria e dalla storia della prima metà del Novecento. Ma temo che, al di là e in aggiunta rispetto alla perdita crescente delle narrazioni personali, si manifesti l’atteggiamento volontario di un’epoca e di una o forse due generazioni: si diffonde la paura del passato (paura di dipenderne, paura di ripeterlo o di esserne vittime/prigionieri); si tende quindi a sfuggirgli, ad annullarlo progressivamente da sé anche se immersi in una rete di ricorrenze legate alla memoria.
Questo timore, questo horror vacui e questa fuga dal passato potrebbero anche essere comprensibili, soprattutto se rapportati all’enormità e alla tragicità di “quella” memoria, alla difficoltà di sostenerla. Il problema è, però, che perdere la memoria del proprio passato (anche di quello più tragico) significa perdere la propria identità, il senso della propria storia. E permettere, con ciò, la progressiva cancellazione di fatto di quel passato annientatore (la Shoah) che invece è esistito come una delle più gravi responsabilità della storia; lasciare spazio cioè all’incunearsi crescente del negazionismo e della sua tendenza ad annacquare, poi ad annullare la realtà dello sterminio e le cause della sua genesi. Il clima negazionistico è a sua volta, come sappiamo, il terreno di coltura più propizio a un rinnovato (e oggi purtroppo evidente) sviluppo del pregiudizio antisemita.
Ecco perché il ruolo di chi, come Liliana Segre, non solo porta testimonianza della propria vicenda ma riflette dolorosamente sulla sua portata e sul proprio tempo è fondamentale. Ecco perché il pessimismo complessivo che traspare dalle sue recenti parole può paradossalmente trasformarsi in una spinta potente alla riflessione sulla funzione della memoria e alla presa di coscienza da parte delle giovani generazioni.
David Sorani