Da Tel Aviv a Doha, i tifosi israeliani
al Mondiale delle polemiche

Allo stato attuale delle cose Israele e Qatar sono ben lontane dallo stipulare intese sulla falsariga degli “Accordi di Abramo” che, a partire dal settembre del 2020, hanno portato un vento nuovo nella regione mediorientale. Ridefinendone in parte gli equilibri.
Ciò nonostante l’inizio del Mondiale di calcio, globalmente contestato a causa dalla scarsa attenzione ai diritti umani che permea la società qatariota, ha portato qualche interessante novità. Come la partenza del primo volo di linea che, sotto l’egida di Cipro, ha messo in comunicazione diretta gli aeroporti di Tel Aviv e Doha. Un tramite per il primo blocco di tifosi israeliani attesi in Qatar in queste settimane. Si calcola che, dall’inizio alla fine del torneo, ne arriveranno all’incirca diecimila. La loro presenza è il risultato di una mediazione concertata di recente insieme alla Fifa. Una partecipazione comunque a rischio: il Qatar è infatti un Paese che, oltre a negare diritti e libertà tra le più elementari, presenta pericoli anche a livello di incolumità fisica. Non a caso una campagna del ministero degli Affari Esteri mette in guardia i propri connazionali da una eccessiva “esposizione”, chiedendo che non siano ostentati simboli che richiamino troppo vistosamente la propria identità e nazionalità. Un’avvertenza da leggere anche alla luce della cospicua presenza di tifosi iraniani al seguito della propria squadra, in una realtà che mantiene da sempre rapporti stretti con il regime di Teheran, i terroristi di Hamas e altre forze nella galassia del radicalismo islamico.
Nel corso del Mondiale sarà comunque attivo un servizio di ristorazione casher, sotto la supervisione del rabbino capo ashkenazita di Istanbul Mendy Chitrik (che riveste anche l’incarico di presidente dell’Alleanza dei Rabbini nei Paesi islamici). “La Coppa del Mondo ha la finalità di far incontrare persone di nazioni, culture e religioni differenti. L’obiettivo è che ciascuno si senta come a casa” le parole del rabbino newyorkese Marc Schneier nell’annunciare il varo di questa iniziativa. Secondo rav Schneier il governo del Qatar, nell’offrire questa opportunità, starebbe compiendo “una mitzvah”. Nelle ultime ore è circolata la notizia di una possibile sospensione del servizio da parte delle autorità locali. Rav Chitrik, raggiunto da Pagine Ebraiche, smentisce questa ricostruzione.
Varie voci del mondo rabbinico si sono schierate contro il Mondiale. Tra gli altri rav Shmuley Boteach, che ha accusato la Fifa di essere “una delle organizzazioni più corrotte” in circolazione e ricordato la vicinanza del Qatar ad Hamas. Un sostegno del quale il gruppo terroristico che governa la Striscia di Gaza beneficerebbe per “fabbricare razzi e costruire tunnel che hanno la finalità di uccidere civili e militari israeliani”.
Molto interessante, al riguardo, una raccolta di saggi fresca di stampa con Paesi Edizioni (“Il centravanti e La Mecca. Calcio, Islam e petroldollari”, il curatore è Rocco Bellantone). Negli ultimi anni lo sport, sottolinea tra gli altri Stefano Piazza, ha aiutato a trasmettere nel mondo “un’immagine ‘rassicurante’ del Qatar, dietro la quale in realtà si cela un’azione finanziaria, politica e religiosa sempre più arrembante”. Perché non va dimenticato, si evidenzia ancora, che l’Emirato è, insieme alla Turchia di Erdogan, “il principale sponsor della Fratellanza Musulmana, così come spalleggia i libanesi sciiti di Hezbollah e altri gruppi terroristici”. Vari e molteplici sono i nodi al pettine quando si parla di calcio e Medio Oriente. Dalle invadenze “moralistiche” di alcuni gruppi estremisti ostili allo sport in quanto tale al pallone come leva propagandistica per avvalorare, da parte di altri, una determinata narrazione e visione del mondo. Inquietante tra tanti anche un fatto che si menziona in apertura di raccolta: la scelta di una stella del calcio globale come Mohammed Salah – all’epoca giovane talento in forza al Basilea – di non stringere la mano ai suoi avversari del Maccabi perché israeliani. Non l’unico episodio che getterebbe un’ombra sulla figura di una icona pop del football. Si fa infatti riferimento anche alla scelta, durante la sua esperienza alla Fiorentina, di vestire la maglia 74. E cioè “il numero dei morti negli scontri allo stadio di Port Said del 2012, quando 74 persone persero la vita negli scontri violentissimi tra le tifoserie rivali dell’Al-Masry e dell’Al-Ahly”. Decisione che secondo alcuni rappresenterebbe la professione di una simpatia “per i Fratelli Musulmani”.

a.s twitter @asmulevichmoked

(Nelle immagini: un momento della cerimonia inaugurale del Mondiale; la cucina casher attivata in Qatar; la copertina del saggio “Il centravanti e la Mecca” appena pubblicato)

(21 novembre 2022)