L’ebraico di Dante
Abbiamo trattato, nelle scorse puntate, dell’inserimento, nella Commedia, di alcune frasi o parole formulate – almeno apparentemente – in ebraico – lingua che Dante non conosceva -, sul cui significato la dottrina si è a lungo confrontata, offrendo le più differenti ipotesi interpretative.
Si tratta, segnatamente, del primo verso del VII Canto dell’Inferno (Pape Satàn, pape Satàn aleppe!), del verso sessantasette del XXXI Canto dell’Inferno (Raphél maì amècche zabì almi), e di tre singole parole presenti nella terzina iniziale del VII Canto del Paradiso. Nel primo caso, come abbiano visto, la voce è quella di Pluto, dio della ricchezza, nel secondo del gigante Nembròt, mentre nel VII Canto del Paradiso a parlare (più precisamente, cantare: 5 “fu viso a me cantare essa sustanza”) è Giustiniano.
L’imperatore non solo – caso unico nel poema – ha l’onore di essere l’esclusivo protagonista di un intero Canto, il VI (ove il percorso dell’aquila di Roma è raccontato tutto esclusivamente da lui medesimo, senza che Dante, l’io narrante, dica una sola parola), ma continua a manifestare la sua magnificenza all’inizio del Canto successivo, che si apre con la celebre terzina di lode al Signore, che chiude e suggella il Canto precedente, sacralizzandone il contenuto. Il VI Canto, infatti, è il racconto di una storia umana, quale la storia di Roma, ma l’inizio del VII spiega che tale storia è anche divina, in quanto è Dio ad avere voluto l’affermazione dell’impero romano, il cui compito principale, come abbiamo più volte illustrato, è quello di portare sulla terra la giustizia, il valore supremo mondano e ultramondano.
I versi sono celeberrimi: Osanna, sanctus Deus sabaòth,/ superillustrans claritate tua/ felices ignes horum malachòt! “Osanna, santo Dio degli eserciti, che con il tuo splendore aggiungi ulteriore luce (superillustrans) ai beati fuochi di questi regni!”. I diversi cieli del Paradiso sono altrettanti regni delle anime beate, che splendono come delle stelle (fuochi), e Dio, a tale già esistente luminosità, aggiunge ancora altra lucentezza (claritas).
Come abbiano notato, quelle del primo verso del VII Canto dell’Inferno non possono essere considerate parole ebraiche, trattandosi piuttosto di meri suoni senza senso, emessi da una bestia (un lupo), non un essere umano. E l’unica apparente parola, Satàn, quantunque di origine ebraica, era ed è di uso universale. Quanto alle parole di Nembròt, abbiamo osservato che di ebraico hanno solo il significante, il suono, perché il loro significato deve restare incomprensibile, in obbedienza alla punizione ancora scontata dal gigante, costruttore della torre di Babele, punito per la sua superbia, appunto, con la confusione delle lingue.
Nella prima terzina del VII Canto del Paradiso, come si vede, figurano tre parole ebraiche: osanna (termine, dal significato originale di “aiutaci, salvaci”, com’è noto, ampiamente recepito dalla liturgia cristiana, col diverso significato di “salve, salute”), sabaòth, “eserciti”, e malachòt (anziché mamlachòt: Dante ricava probabilmente il termine, nella formulazione leggermente errata, da Girolamo), “regni”.
Della prima delle tre parole, come abbiamo detto a proposito del “Satàn” del VII Canto dell’Inferno, si potrebbe anche pensare che essa sia stata inserita come termine ormai di uso comune in latino e volgare, e quindi senza uno specifico riferimento alla sua origine ebraica. Ma non credo che ciò sarebbe esatto, in ragione della presenza degli altri due vocaboli, sabaòth e malachòt, che sono indubbiamente ebraici, e appaiono evidentemente apparentati, in quanto tali, alla prima parola del Canto, mentre le altre otto sono in latino.
La terzina, come abbiamo detto, chiude con una lode al Signore l’illustrazione della “marcia trionfale” di Roma, fatta nel Canto precedente, per affermare, con la massima evidenza possibile, che l’ineluttabile trionfo della monarchia (quella romana, l’unica legittima) è direttamente voluto da Dio, che ha guidato e sempre guiderà, superando ogni ostacolo, il percorso dell’aquila. Il fatto che la terzina sia composta in un’inedita lingua mista, ebraico-latina, ha un significato preciso, consistente nel rimarcare la congiunzione armoniosa della Bibbia ebraica con quella latina della Chiesa di Roma, e l’innesto della nuova Rivelazione nell’antica.
La soluzione di Dante, al di là del pregio artistico, si segnala per la sua coraggiosa innovazione sul piano teologico. Il rapporto tra il cd. Antico e il cd. Nuovo Testamento, com’è noto, è sempre stato visto dalla tradizione cristiana, fino a tempi piuttosto recenti, in termini di ‘sostituzione’ e ‘delegittimazione’: il Nuovo non solo “si aggiunge” al Vecchio, ma lo risignifica completamente, svuotandolo di senso autonomo per trasformarlo in mera Praeparatio Evangelica. Non ci sarà nessuno spazio, nel cristianesimo, per una Bibbia ebraica, le uniche vere Scritture saranno solo quelle in latino redatte da Girolamo, poi sostituite dalla cd. Clementina. Le parole ebraiche saranno del tutto bandite, come segno della Iudaica pravitas, della persistente cecità del popolo ‘deicida’. Dante, da questo punto di vista, nel suo tempo, è una luminosa eccezione: la parola ebraica resta una parola di verità, non è sostituita da quella latina, che ad essa si affianca su un piano di assoluta parità e armonia. Anzi, la prima parola della terzina è ebraica, non latina.
Abbiamo detto che la terzina aiuta a cogliere il senso anche del primo verso del VII Canto dell’Inferno. Quelli emessi da Pluto, come abbiamo detto, sono dei suoni senza senso, pronunciati da una “fiera crudele”, mentre quelle di Giustiniano sono parole di luce e verità. E non è certo un caso che le due espressioni si trovino agli inizi del VII Canto tanto della prima quanto della terza cantica. Entrambi i passi, unitamente al verso sessantasettesimo del XXXI Canto dell’Inferno, rappresentano, in sintesi, un elogio della parola, e del suo significato. E questo elogio trova il suo culmine in una lingua universale ed eterna, senza luogo e senza tempo, della quale l’ebraico resta il primo, imprescindibile elemento.
Francesco Lucrezi