Loznitsa e il delicato tessuto
tra presente, passato e futuro

Sergei Loznitsa incarna gli intrecci e le contraddizioni dell’Est Europa fin dalla biografia. È nato nel 1964 a Baranovitch, nella Bielorussia che a quel tempo faceva parte dell’Unione Sovietica, è cresciuto nella Kiev oggi sotto attacco e oggi vive fra Berlino e la Lituania. Considerato il più importante regista ucraino della sua generazione, è uno dei filmaker favoriti del circuito internazionale dei festival e non fa mistero delle sue idee. Lo conferma il vespaio innescato dalle sue recenti prese di posizioni sulla guerra e il rapporto fra politica e cultura. Il 28 febbraio il regista ha annunciato le sue dimissioni dall’European Film Academy per essersi limitata a esprimere una generica “solidarietà all’Ucraina” senza condannare apertamente l’invasione russa. Il giorno dopo, quando la stessa accademia ha comunicato l’esclusione dei film russi dai premi europei, ha rincarato la dose. “Molti amici e colleghi, filmaker russi, hanno preso posizione contro questa folle guerra… Sono vittime come noi di queste aggressione” ha detto, esortando a giudicare la gente in base alle azioni e non al passaporto. Per tutta risposta, il 19 marzo è stato espulso dall’Accademia ucraina di cinema. Loznitsa, recita la motivazione, “ha spesso sottolineato di considerarsi un cosmopolita, ‘un uomo del mondo’. Ma oggi, mentre l’Ucraina sta lottando per difendere la sua indipendenza, il concetto chiave della retorica di ciascun ucraino dev’essere la sua identità nazionale”. La replica non si è fatta attendere: “Sono stupefatto nel leggere della decisione dell’Accademia del cinema ucraino di espellermi in quanto cosmopolita … È solo a partire dalla tarda era stalinista, dall’avvio della campagna antisemita scatenata da Stalin fra il 1948 e il 1953, che il termine ha acquisito una connotazione negativa nella propaganda sovietica”.
“Condannando il cosmopolitismo, i membri ucraini dell’accademia utilizzano esattamente il discorso inventato da Stalin” ha concluso Loznitsa, definendo “nazista” e “un dono alla propaganda del Cremlino” quest’enfasi sull’identità nazionale. Chi ha voluto la sua espulsione, ha spiegato poi, “ovviamente non vuole fare parte dell’Europa – perché l’idea dell’Europa è cosmopolita”. Quanto al boicottaggio dei film, “rispondere alla barbarie attaccando la cultura è un’altra barbarie”.
Autore di quattro film di fiction e 25 documentari, Loznitsa ha posto al centro del suo lavoro il delicato tessuto fra presente, passato e futuro. Se il documentario Maidan (2014) porta in scena i diversi aspetti della rivoluzione che fra il 2013 e il 2014 anima Piazza dell’Indipendenza a Kiev, altri lavori si soffermano sulle dimensioni della memoria: Austerlitz (2016) analizza il paradosso delle folle di turisti in visita nei campi di sterminio nazisti; The trial (2018) ricrea il processo che nel 1930 a Mosca condanna a morte un gruppo di economisti e ingegneri con la falsa accusa di aver tentato un colpo di stato; State Funeral (2019) ricostruisce invece i quattro giorni che precedono la morte di Stalin. Infine, Babi Yar. The context (2021) fornisce un quadro visuale dell’eccidio nazista. Il suo nuovo film, The Natural History of Destruction, basato sul libro omonimo di W.G. Sebald, analizza la percezione della distruzione di massa della popolazione tedesca.

d.g

(29 novembre 2022)