Rita, l’artista della scienza

Si definiva un’intuitiva, Rita Levi-Montalcini. Amava la scienza e credeva profondamente nella necessità di mettere in dubbio la realtà. “Amava inventare, elaborare, guardarsi introno per impegnarsi a migliorare le imperfezioni. Era un’artista della scienza”, la definizione della nipote, Piera Levi-Montalcini. E proprio così, “artista della scienza”, la Comunità ebraica di Milano ha voluto intitolare l’evento dedicato alla Premio Nobel in occasione dei dieci anni dalla sua scomparsa. Un’iniziativa andata in scena al Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” con gli interventi di diversi ospiti e la proiezione del film, prodotto dalla Rai, che rende omaggio alla vita straordinaria di una donna che ha consacrato tutta se stessa alla ricerca e al progresso scientifico. A raccontarne il dietro le quinte, regista Alberto Negrin e l’attrice Elena Sofia Ricci che ha interpretato Levi-Montalcini. “Un film che ci restituisce l’immagine della scienziata che ho sempre ammirato, del suo rapporto fondamentale con il suo maestro, Giuseppe Levi, della sua incondizionata fiducia nella vita, della sua straordinaria capacità di lavorare anche con strumenti rudimentali come accade nella sua stanza da letto a Torino nel 1940”, il ricordo della senatrice a vita e scienziata Elena Cattaneo nel corso dell’evento, aperto dai saluti dell’assessore alla Cultura della Comunità Sara Modena e della presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. “Ci sono molti valori ebraici che ritornano nella vita di Levi-Montalcini – ha evidenziato Modena – tra cui darsi un obiettivo e perseguirlo nonostante le avversità, il grande amore per lo studio, il desiderio di sapere, il profondo senso di giustizia”. Atea e libera pensatrice, la scienziata rimase profondamente legata alle sue radici ebraiche. “Lo dimostra, tra l’altro, la decisione di donare una parte dell’assegno ricevuto per il Nobel per finanziare una sinagoga a Roma”, ha rilevato Modena. Del rapporto con l’ebraismo ha parlato anche il rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib, che si è soffermato in particolare sul titolo dell’autobiografia di Levi-Montalcini Elogio dell’imperfezione. “La storia dell’uomo è la storia di un’imperfezione. Ce lo dice già la Genesi”, ha spiegato il rav, sottolineando come tra tutti gli esseri viventi, l’uomo sia il solo a nascere imperfetto. “Diventare essere vivente a pieno titolo dipende da lui, ha libertà di scelta. Ed è chiamato a vivere e perfezionare se stesso, ma anche il mondo imperfetto che lo circonda”. Questo perché, ha sottolineato ancora il rav, “come recitiamo di Shabbat, Dio ha creato l’uomo per fare, perché questi agisca in un mondo che non è completo”. Ma questa incompiutezza, questa imperfezione “è la sua grandezza. E mi ha colpito ritrovare nel libro di una grande scienziata proprio questo tema dell’imperfezione. Dimostrazione di come le radici ebraiche rimangano in lei molto forti”. Un elemento richiamato anche nel messaggio del vicepresidente della Comunità Ilan Boni, che ha poi lasciato il palco al panel composto dal regista Negrin, Elena Sofia Ricci, la scienziata e allieva di Levi-Montalcini, Francesca Levi Schaffer, e alla nipote Piera Levi-Montalcini. Levi Schaffer in particolare si è soffermata sulla scoperta che portò la scienziata a vincere il Nobel nel 1986: il Fattore di crescita neuronale. Una scoperta frutto di grande dedizione e intuito che ancora oggi ha molteplici risvolti e su cui Levi-Montalcini continuò a lavorare. “A 101 anni la zia Rita – ha rivelato la nipote Piera – mi disse ‘se quello che penso è vero prenderò il secondo Nobel’. Purtroppo morì l’anno dopo, ma in un cassetto del mio cervello quell’idea è rimasta conservata. E ora cerco un gruppo di ricerca che possa portarla avanti”.