“Camaldoli, i nostri dialoghi
un segno di speranza”

Ha preso il via una nuova edizione dei Colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli. A raggiungere l’eremo toscano che da vari decenni fa da sfondo a questa occasione di incontro e dialogo oltre 150 persone provenienti da tutta Italia, tra cui un significativo gruppo di giovani. Le Comunità al giorno d’oggi tra “identità, leadership, processi decisionali”, il tema a dare il ritmo ai vari incontri e seminari. Una sfida per entrambe le tradizioni, si sottolinea. Soprattutto “a partire dalle nuove provocazioni che vengono dalla società”, tra cui l’affermarsi di un crescente individualismo. Tra gli ospiti che animeranno il confronto rappresentanti di istituzioni, del mondo accademico e della leadership religiosa. Al centro un assunto: “Sia per l’ebraismo che per il cristianesimo il tema della comunità è fondamentale”. D’altronde, si fa notare, “in entrambe le tradizioni, a partire dal medesimo fondamento biblico, il rapporto con Dio non ha mai una dimensione unicamente individuale, ma sempre passa attraverso la mediazione di un popolo, una comunità”.
L’iniziativa si è aperta ieri sera con una prolusione di Massimo Giuliani sul tema “Modelli di comunità nel mondo ebraico”, insieme ai saluti del monaco di Camaldoli Matteo Ferrari e a quelli del direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della CEI Giuliano Savina. I lavori sono poi ripresi stamane con al tavolo tra gli altri Alexander Rofè, emerito biblista dell’Università ebraica di Gerusalemme. Da bambino, vittima delle leggi razziste, aveva dovuto lasciare la Toscana e l’Italia.
“Ciò che caratterizza i Colloqui è non solo l’alto livello delle relazioni e dei gruppi di studio, ma anche l’atmosfera di stima e amicizia che si sostituiscono a secoli di disprezzo e persecuzione”, afferma il presidente della Federazione delle Amicizie Ebraico-Cristiane Marco Cassuto Morselli. “Una rondine non fa primavera e non bisogna farsi illusioni: molti problemi permangono e questioni importanti sono ancora fonti di tensione. Camaldoli è una eccezione. Ma – osserva – è una eccezione che esiste”. Un’eccezione vista come un segno di speranza per il futuro delle relazioni e come una dimostrazione “che le cose possono migliorare”.
Nell’aprire i Colloqui Giuliani ha esplorato il tema dei modelli di comunità nel pensiero ebraico a partire dal nucleo base di ogni vita sociale, “ossia la mishpacha, la famiglia, in particolare il rapporto uomo-donna che si uniscono con un patto, un contratto di alleanza”. Il tema della brith è stato illustrato con gli insegnamenti di rav Joseph Soloveitchik, per il quale – ha evidenziato Giuliani – “sono paradigmatici l’alleanza dell’Egitto e quella del Sinai: il fato e la sofferenza comune segnano la prima, un destino condiviso e una missione la seconda”. Molte sono le forme, ha aggiunto lo studioso, che le kehillot (ossia le comunità ebraiche) hanno assunto nel tempo e nei diversi luoghi della diaspora. In senso halakhico però esiste “una sola comunità che si esprime nel minian, il quale rappresenta sempre l’intero am Israel”.