Ebrei iraniani, tra lotta per la libertà e propaganda di regime

L’8 maggio del 1979 Habib Elghanian, dopo un processo di venti minuti, fu condannato a morte e giustiziato da un plotone d’esecuzione. Il tribunale islamico del regime komeinista lo ritenne colpevole di essere “una spia sionista” e di “aver fatto guerra a Dio e al suo Profeta”. Elghanian era sia uno degli uomini d’affari più importanti dell’Iran pre-rivoluzione sia il punto di riferimento della comunità ebraica iraniana. Aveva passato la vita a far rifiorire quest’ultima e allo stesso tempo a facilitare gli ebrei che desideravano fare l’aliyah in Israele. Imprigionato il 16 marzo 1979, Elghanian divenne il primo ebreo, come raccontò il Time all’epoca, ad essere ucciso dal nuovo potere islamista installatosi a Teheran. Il suo assassinio contribuì a convincere decine di migliaia di ebrei iraniani a lasciare il paese. Quasi il 90 per cento degli 80mila membri della Comunità emigrarono. Chi rimase, dovette sottostare alle rigide regole del regime degli Ayatollah, alla sua repressione e alle sue minacce. E in questo clima, spiegano oggi gli analisti, vanno letti i recenti comunicati della Comunità ebraica a sostegno del governo e non di chi manifesta nelle piazze nel nome di Mahsa Amini e della libertà. “Purtroppo gli sgherri del regime costringono sempre i leader ebrei e di altre minoranze religiose in Iran a rilasciare nei media dichiarazioni favorevoli al governo. – spiegava al Jerusalem Post Karmel Melamed, giornalista e voce della Comunità ebraica iraniana in esilio – Oppure spesso li fanno sfilare davanti ai programmi televisivi occidentali per elogiare il regime come parte di uno sforzo propagandistico per far apparire il regime in buona luce”.
Proprio Melamed, che copre e sostiene a distanza le manifestazioni in Iran, ha rivelato che di recente cinque ebrei sono stati arrestati dalle autorità. Uno è stato rilasciato mentre sugli altri la comunità ebraica sta ancora mediando per la scarcerazione. “I quattro ancora in carcere sono in attesa che le autorità iraniane giudichino i loro casi, insieme a molti altri giovani che sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nelle proteste”, ha spiegato Melamed al Jerusalem Post. Dei quattro detenuti, due sono studenti universitari di Teheran che sono stati fermati insieme a decine di altri coetanei. E proprio il fattore dell’età, aggiunge Melamed, è un elemento di rottura, così come accade per gli altri manifestanti. “Mentre i loro genitori e nonni più anziani possono aver assistito o sperimentato la brutalità del regime negli ultimi 43 anni e ne hanno paura, la generazione più giovane di ebrei iraniani non l’ha fatto e segue altri giovani che non hanno paura e chiedono solo la libertà”.
A raccontare le condizioni dell’ebraismo iraniano oggi, che conta tra gli otto e i diecimila membri, anche il quotidiano Israel Hayom, in un articolo molto critico verso la leadership comunitaria. Il giornale ricorda come agli ebrei iraniani non sia permesso visitare Israele e “nemmeno parlare al telefono con le loro famiglie qui. I loro figli devono calpestare la bandiera israeliana all’ingresso della scuola e devono gridare morte a Israele nelle manifestazioni per il Giorno di Gerusalemme”. “Nonostante tutto questo, – la dura accusa d’Israel Hayom – i diecimila ebrei rimasti in Iran continuano ad esprimere il loro sostegno al regime senza pensare al loro popolo”.
dr