Ulisse ed Enea

Abbiamo affrontato, nelle scorse puntate, la questione di un possibile parallelo tra il viaggio ultramondano di Dante e quelli effettuati, prima di lui, da Abramo, Mosè, Enea e Ulisse (i primi tre nei libri della Genesi e dell’Esodo e nell’Eneide, il quarto solo nella fantasia dantesca). Inizierei con Ulisse.
Del possibile significato del XXVI Canto dell’Inferno abbiamo già avuto modo di parlare, e rinviamo a quanto già precedentemente argomentato. Ciò che appare opportuno sottolineare, nell’ambito dell’odierno discorso, è il fatto – generalmente non tenuto in considerazione da parte della critica dantesca – che la vicenda di Ulisse, nell’Inferno dantesco, è oggetto di due distinti giudizi, che vanno tenuti nettamente distinti.
Sul piano strettamente morale e teologico, infatti, non c’è dubbio che l’eroe greco sia destinato alla dannazione eterna, che lo vede confinato nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, tra i traditori di coloro che non si fidano. Su questo, il poeta non mostra dubbi o esitazioni di sorta: Ulisse ha usato la frode, l’inganno, l’astuzia, è grazie a questi che ha vinto la sua guerra, non in virtù del proprio valore militare (che pure, certamente, non gli faceva difetto). Per questo, la sua punizione è giusta, non merita commiserazione. Ma, nel racconto che l’eroe fa a Dante, dall’interno della fiamma in cui è imprigionato insieme a Diomede, Ulisse non parla del cavallo di Troia, dello stratagemma che gli permise di avere ragione del suo valoroso nemico, ma solo di quello che gli accadde dopo, quando, ignorando la sua “dolcezza di figlio” e il “debito amore” coniugale, volle mettere sé e i suoi compagni “per lo mare aperto”, per scoprire ciò che era celato al di là di quei “riguardi” che furono segnati da Ercole “acciò che l’uom più oltre non si metta” (Inf. XXVI. 108-109). È vero che il suo fu un atto di orgoglio e di superbia, e che, come abbiamo scritto, quel viaggio temerario, che lo avrebbe perduto, era effettuato soltanto “in orizzontale”, e che non lo avrebbe potuto, perciò, condurre alla salvezza. Ma Ulisse non è punito per questo. Non è vero, come spesso si legge, che ci sarebbe una contraddizione tra la condanna del peccatore e l’ammirazione per il coraggio del viaggiatore assetato di fare “esperienza,/ di retro al sol, del mondo senza gente” (Inf. XXVI. 116-117), che sprona i suoi compagni a non smarrire il senso della loro “semenza” (118), consistente nel seguire “virtute e canoscenza” (120).
L’ammirazione di Dante per Ulisse è piena, assoluta, ma riguarda specificamente il coraggio dell’eroe e la sua sete di conoscenza, due elementi entrambi alla base anche del viaggio di Dante, anch’esso mosso da entrambi. Ci vuole un grande coraggio per scendere tra le anime dannate, e la Commedia è una straordinaria enciclopedia del sapere, per la cui realizzazione il poeta impiegò tutte le sue energie.
Ulisse non sa cosa ci sia oltre le colonne d’Ercole, e non ha, né può avere, alcun progetto su cosa fare una volta raggiunto l’approdo, proprio perché non sa se ci sia un approdo.
In questo la tragica forza del viaggio, il nobile eroismo del viaggiatore, ma anche il loro limite. È pericoloso partire senza una meta.
Diverso, invece, il debito del viaggio di Dante nei confronti di quello di Enea, che, rispetto a quello di Ulisse, presenta un fondamentale elemento supplementare, che è la costruzione di una nuova realtà. Anche Enea, come Ulisse, ovviamente, è animato da coraggio e da sete di conoscenza, ma, in più, egli persegue un preciso obiettivo, che è la fondazione di una patria destinata ad accogliere tutti gli uomini della terra, a diventare la monarchia universale ed eterna. Enea costruirà il suo regno con la forza delle armi, ma il suo viaggio prenderà forma nei versi di quel poeta immortale che, eletto da Dante a suo “maestro e autore” (Inf. I. 85), lo avrebbe accompagnato nel suo viaggio, fino alla soglia del Paradiso.
Il viaggio di Enea è il viaggio di Virgilio, ed entrambi rappresentano la base del viaggio di Dante, che intende completare la loro opera, dando alla monarchia la legittimità della giustizia divina.
Ma i precedenti di Ulisse ed Enea non bastano a spiegare il senso del viaggio di Dante, che trova la sua principale fonte di ispirazione in due altri viaggi, quelli di Abramo e di Mosè.
Torneremo sul punto nelle prossime puntate.

Francesco Lucrezi

(21 dicembre 2022)