Netanyahu chiama Herzog
“Ho un nuovo governo”

Il Premier Benjamin Netanyahu ha informato ieri sera ufficialmente il Presidente di Israele di aver formato con successo un nuovo governo. Come previsto, i partiti che comporranno la coalizione saranno il Likud di Netanyahu, i partiti haredi Shas e Yahadut HaTorah e le compagini di estrema destra Otzma Yehudit, Sionismo religioso e Noam. Insieme la maggioranza può contare su 64 seggi su 120 totali. Per quanto riguarda il giuramento del nuovo gabinetto, i media israeliani spiegano che dovrà avvenire entro il prossimo 2 gennaio e che il tentativo è di calendarizzarlo per il 27 o 28 dicembre.

Zelensky a Washington. Le aperture dei principali quotidiani italiani sono tutte dedicate alla visita del presidente Volodymyr Zelensky a Washington. Il suo primo viaggio fuori dall’Ucraina dall’inizio dell’aggressione russa dello scorso febbraio. “Appoggeremo l’Ucraina perché raggiunga una pace giusta”, la promessa del Presidente Joe Biden a Zelensky, che intervenendo al Congresso ha descritto l’assistenza militare al suo paese come un investimento per la sicurezza globale e nella democrazia di fronte alla guerra scatenata da Mosca. Biden, scrive tra gli altri il Corriere, ha promesso al presidente Ucraino “altri 2 miliardi di dollari in aiuti militari, mentre il Congresso si appresta ad approvarne altri 45 (anche economici e umanitari), portando il totale a circa 100 miliardi”. Gli aiuti prevedono, prosegue il Corriere, la fornitura del sistema missilistico di difesa Patriot “che servirà a rafforzare lo scudo contro i bombardamenti russi; munizioni e kit che permettono di rendere ‘intelligenti’ bombe in possesso di Kiev, attraverso sistemi Gps per guidare e colpire con precisione”.

Quali prospettive per la pace. Sia Biden sia Zelensky, riportano Repubblica e Stampa, hanno evidenziato come Putin continui ad essere contrario alla pace, proseguendo la sua aggressione all’Ucraina. “Noi aiutiamo Zelensky perché possa sedersi da vincitore al tavolo delle trattative, quando sarà pronto a parlare con i russi. Putin ha fallito e fallirà”, ha dichiarato Biden. Zelensky ha risposto: “Voglio la pace, ma non so ora quale possa essere una pace giusta, per chi ha perso i figli e la vita”. Però ha aperto ad un summit che discuta il futuro del paese, garantendo “la nostra integrità e il rispetto delle leggi internazionali. Combattiamo per gli stessi valori, vinceremo contro la tirannia”.

Il significato della visita. “l leader di un Paese alleato sotto assedio viene a parlare al presidente e ai parlamentari in un momento in cui sta per insediarsi un nuovo Congresso e molti membri della maggioranza repubblicana alla Camera sono contrari agli aiuti all’Ucraina. Che venga ad affrontarli direttamente, a spiegare la sua posizione, è di grande importanza. E penso che sia significativo il fatto che Biden lo accolga come un grande alleato e una figura eroica nella difesa dell’indipendenza nazionale e della sovranità. È un grande momento”. Così politologo Michael Walzer analizzando con il Corriere la visita a Washington di Zelensky. Nell’intervista, la giornalista Viviana Mazza poi ricorda un colloquio del presidente ucraino con il presentatore americano David Letterman e in particolare una dichiarazione ironica del primo sul ruolo della Nato: “Zelensky, che è ebreo, – ricorda Mazza – ha raccontato una barzelletta citando l’umorismo tipico di Odessa: ‘Due ebrei di Odessa discutono: ‘Come sta andando la guerra tra Russia e Nato?’. ‘I russi hanno perso 70 mila soldati’. ‘E la Nato?’, chiede il primo. ‘La Nato non è ancora arrivata’, risponde l’altro”. Sul tema Nato Walzer spiega “sono favorevole all’idea appoggi l’Ucraina a distanza, al livello massimo, ma a distanza, non da partecipante al conflitto. È una linea difficile da tracciare, anche moralmente difficile, come suggerisce la barzelletta”.

Gli ostaggi israeliani di Hamas. Avera Mengistu e Hisham Al-Sayed sono detenuti nelle prigioni di Hamas dopo aver passato per errore il confine con Gaza. I terroristi inoltre dal 2014 detengono le salme dei soldati Oron Shaul e Hadar Goldin, caduti durante l’operazione Margine protettivo. Le famiglie di questi quattro israeliani da tempo portano avanti una battaglia per ottenere indietro i propri figli. Ieri lo hanno fatto anche attraverso una visita a Roma e in Vaticano, dove hanno incontrato Bergoglio. Il papa, come riporta Avvenire, ha garantito loro il proprio impegno per arrivare alla liberazione. “Onu, Ue e Usa si erano fatti garanti per la tregua. – le parole della madre di Goldin – Ora ci aiutino a farci riavere la sua salma, come richiesto anche in una risoluzione dell’Europarlamento. Già nel 2017 il Consiglio Onu aveva definito il nostro caso una ‘violazione del diritto umanitario internazionale’: Chiedo che non mi sia impedito di fare un funerale a mio figlio. Il papa argentino capisce bene il mio dolore di madre di un desaparecido”.

25 aprile. Nella sua prima conferenza stampa di fine anno da presidente del Senato, Ignazio La Russa ha parlato anche di 25 aprile, confermando, racconta Repubblica, che non andrà alle manifestazioni per la festa della Liberazione dal fascismo. “Cosa succederebbe – le sue parole – se andassi a un corteo per il 25 aprile, dove il padre di Letizia Moratti venne spintonato e anche la Brigata ebraica è stata mal tollerata? Quando ero al vertice della Difesa sono andato al cimitero di Milano dove c’è la statua dedicata ai partigiani. Ho portato un enorme mazzo di fiori, il segno della riconoscenza per chi ha dato la vita per la libertà”. La Russa ha inoltre parlato della necessità di una pacificazione nazionale. “A quasi 77 anni dalla fine della guerra siamo ancora in qualche modo in un interminabile dopoguerra, – la sua posizione – in alcuni momenti di vita pubblica c’è ancora un’Italia non sempre pacificata, pur nelle inevitabili e doverose differenze di pensiero. Se riuscissimo a fare un passo in avanti sul grado di accettazione del pensiero altrui, sempre nel rispetto delle leggi, daremmo un contributo importante”.

Il destino di Hasib. Il gip Ezio Damizia ha diposto gli arresti domiciliari per un poliziotto, accusato di tortura, in relazione al caso di Hasib Omerovic, il 36enne sordomuto precipitato dalla finestra dopo che quattro agenti del commissariato Primavalle di Roma erano entrati il 25 luglio scorso nella sua abitazione. “Un crescendo di minacce e violenze tali da creare un “trauma psichico” che lo indusse a cercare la salvezza dalla finestra della stanza dove era stato legato con le mani a una sedia con il cavo di una lampada, schiaffeggiato, intimidito con un coltello. In altre parole: torturato”, scrive il Corriere, ricostruendo attraverso le carte dell’indagine quanto accaduto. Secondo il gip si trattò di “una ‘spedizione punitiva’ contro ‘lo zingaro di Primavalle’, il rom sordomuto Hasib Omerovic, indicato da alcuni abitanti di quartiere come un molestatore di ragazzine (episodi ridimensionati dalle stesse presunte vittime), e precipitato al suolo durante un’irruzione nel suo appartamento”, scrive sempre il Corriere. Nell’indagine gli altri tre agenti sono indagati per falso e un quinto per depistaggio.

Feste e cospirazioni. “C’è una certa narrazione di destra che si riaccende ogni hanno, secondo la quale ci sarebbe una ‘guerra a Natale’, condotta da una presunta ‘islamizzazione’ dell’occidente”, spiega a Domani Lorenz Blumenthaler, esperto della Fondazione Amadeu Antonio, che lotta contro l’estremismo di destra, razzismo e antisemitismo in Germania. “Si tratta – afferma Blumenthaler – di una narrazione complottista e antislamica, utilizzata principalmente per fomentare la paura nei confronti dei musulmani in Germania”. Questa tesi, aggiunge l’esperto tedesco, ha radici in realtà diverse, con bersaglio il mondo ebraico: “All’inizio del Ventesimo secolo Henry Ford, magnate dell’industria automobilistica, diffondeva pubblicazioni antisemite secondo le quali le tradizioni di Natale sarebbero state limitate dagli ebrei”. L’alt-right, aggiunge Blumenthaler, ha declinato il tutto in chiave anti-islamica.

Arte e restituzioni. Gli eredi della collezionista tedesca Hedwig Stern, costretta a fuggire dalla Germania a causa delle persecuzioni contro gli ebrei, hanno fatto causa al Metropolitan Museum of Art di New York e alla Basil and Elise Goulandris Foundation di Atene reclamando la restituzione del dipinto La cueillette des olives (Raccolta delle olive) di Vincent van Gogh, eseguito nel 1889. L’atto di citazione, depositato in un tribunale della California, sostiene che il Met – riporta il Quotidiano nazionale – avrebbe venduto segretamente il dipinto nel 1972 per evitare di doverlo dare a Hedwig Stern, che ne aveva chiesto la restituzione. II dipinto è ora esposto nel museo di Atene.

Daniel Reichel