Vittorio Levis e Sandro Romanelli, storie d’impegno per le Comunità
La scomparsa di Vittorio Levis z”l – già presidente della Comunità ebraica di Venezia – credo meriti qualche riflessione al di là dell’affettuoso ricordo espresso in queste ore. Ho avuto modo di lavorare al suo fianco nel tentativo di dare nuova centralità alla preziosa Biblioteca-Archivio, un luogo che rappresenta ben più che un mero deposito di storia e conoscenze. Il predecessore all’incarico di presidente – il dott. Sandro Romanelli z”l, anch’egli scomparso qualche mese fa – aveva fortemente premuto affinché il modesto ma fondamentale lascito voluto dal suo zio Renato Maestro venisse dedicato al riordino e alla valorizzazione del patrimonio librario e archivistico della storica Comunità ebraica lagunare. Entrambi, Vittorio e Sandro, pur appartenendo a generazioni leggermente distanziate sono stati protagonisti per decenni della vita e dell’organizzazione di una comunità che rientra nel novero di quelle che oggi chiamiamo “piccole”. Ma sbagliamo a chiamarle così, perché nel farlo ci limitiamo a considerarne le dimensioni, mentre evitiamo di valutarle in altri termini. Parlo del significato che quel nucleo ha nel presente per la vita della città e del territorio circostante, parlo dell’eredità storica pluricentenaria che quel gruppo di donne e uomini è chiamato a interpretare e a tramandare, parlo del ruolo di valorizzazione di un’area urbana così pregiata e centrale come il Ghetto. Vittorio e Sandro sono stati nel corso della loro vita – e non solo come presidenti, quando toccò loro in sorte di ricoprire quella carica – interpreti autentici e tenaci di quella realtà, che è – mi pare – tutt’altro che “piccola”. Hanno fatto cose “grandi”: sono stati protagonisti dell’attività di aggregazione giovanile negli anni Cinquanta e Sessanta dando nuova vita a una Comunità che la Shoah aveva colpito in maniera potenzialmente mortale. Sono stati protagonisti del CGE, quel centro dei giovani ebrei che organizzava eventi culturali e di svago in maniera precocemente inclusiva (spesso in contrasto con i vertici della Comunità di allora), ponendo con forza una questione generazionale all’interno di una comunità ancora legata a dinamiche anteguerra. Al contempo avevano la loro vita: Vittorio si avviava alla sua attività professionale nelle Generali assurgendo nel tempo a cariche prestigiose, mentre Sandro diventava medico all’Ospedale Civile e punto di riferimento per centinaia di famiglie a cui non faceva mancare il suo aiuto e la sua consulenza. Due “mestieri” molto ebraici, direi storicamente ebraici, che contribuivano a fare di loro delle colonne della Comunità. Entrambi hanno creato famiglie molto attive nella vita comunitaria. Erano sempre presenti, spesso da protagonisti, alle attività aggregative e anche alla vita religiosa. Immersi in quell’ebraismo che in molti definiscono “all’italiana”, che guarda alle tradizioni come a un valore fondamentale della propria identità ma le interpretano con una certa libertà, hanno contribuito con la loro militanza a far crescere un gruppo e a farlo interagire in maniera attiva con le altre realtà sociali, culturali e religiose del territorio. Senza queste presenze silenti ma costanti, che sono numerose ancora oggi e sempre operose al di là delle figure importanti che qui voglio ricordare, la vita di una Comunità semplicemente non sarebbe possibile. Dare valore a questa continuità, quindi, rappresenta il primo passo per rendere il dovuto omaggio a uomini come Sandro Romanelli e Vittorio Levis. Uomini affiancati e accompagnati da donne altrettanto impegnate in quel percorso. Impossibile immaginare Sandro senza Lia e poi senza Carla. Inimmaginabile guardare a Vittorio senza vedere sempre accanto a lui Serena.
Vittorio e Sandro hanno vissuto in questa prospettiva e hanno interpretato il loro ruolo di presidente di Comunità dovendo affrontare sfide importanti. Con l’istituzione del Giorno della Memoria e poi dell’annuale Giornata europea della cultura ebraica è andata crescendo anno dopo anno l’attenzione che i non ebrei (singoli cittadini ma anche associazioni, istituzioni pubbliche, gruppi politici e religiosi) manifestavano nei confronti di tutto quanto aveva a che fare con il mondo ebraico. Le Comunità venivano (e vengono) di continuo interpellate per l’organizzazione di eventi, per intervenire a convegni pubblici o anche solo per portare testimonianze in ambito scolastico o in piccoli circoli di cultura. Ma un presidente è impegnato anche a mantenere vivace e attiva la comunità ebraica stessa organizzando eventi, assicurando una continuità nel culto, offrendo agli ebrei più osservanti la possibilità di rispettare le normative tradizionali. A questo si aggiunge la responsabilità (per Venezia enorme) di conservare al meglio i beni culturali ereditati dal passato: sinagoghe, cimiteri, arredi sacri, biblioteche e archivi in continua necessità di manutenzione. Un’attività che presenta sempre nuove sfide, che le singole comunità (a volte troppo piccole nel senso di bilanci e potenzialità organizzative) non possono affrontare in maniera efficace se non si riesce a disegnare una strategia di politica culturale associata a una lungimiranza nel delineare i rapporti con i grandi centri dell’ebraismo italiano e con le amministrazioni pubbliche.
L’esempio di Vittorio Levis e di Sandro Romanelli in questo contesto fatto di sfide complesse ma anche di duro lavoro quotidiano è stato importante. Un punto di riferimento, un patrimonio che non si può limitare all’affettuoso ricordo ma deve rappresentare un rinnovato impegno nell’intensa e appassionata vita che caratterizza ancora oggi le cosiddette “piccole” comunità ebraiche italiane.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC