Sannicandro, ebrei per scelta

Quella degli ebrei di Sannicandro Garganico è una storia che ha fatto il giro il mondo. Nel settembre 1947 finisce sulla rivista americana Time e negli anni torna con regolarità sui media, spesso con toni urlati che dispiacciono alla comunità. La loro è d’altronde un’esperienza unica in Europa, che Pagine Ebraiche aveva ricostruito in tutta la sua complessità nel dossier al centro del suo primo numero.
Come cinquant’anni dopo accadrà in Perù, anche qui tutto inizia con un uomo, Donato Manduzio, che a seguito di una visione si accosta alla lettura della Bibbia e ne rimane profondamente colpito. È il 1930, ha 45 anni, è un calzolaio, un invalido di guerra. Con fervore approfondisce i contenuti del testo e inizia a diffondere quella religione fra chi gli è più vicino. Il gruppo elimina dalle case le immagini, celebra il Sabato e le feste, studia la Bibbia e impartisce nomi ebraici ai nuovi nati. È un contesto che per molti aspetti richiama quello di Segundo. Sannicandro è allora una realtà rurale, povera, lontana dai centri urbani. Un mondo dove la religiosità di base è diffusa e gli emigrati di ritorno dagli Stati Uniti hanno introdotto i pentecostali e gli Avventisti del settimo giorno, che rappresentano per Manduzio un termine di confronto costante (lui stesso nel 1936 è multato come supposto “pastore protestante” per aver condotto un servizio religioso non autorizzato).
Come i Bnei Moshe, i sannicandresi credono che gli ebrei non esistano più. Quando da un venditore ambulante scopre che non è così, Donato scrive subito ad alcuni ebrei residenti a Torino e Firenze e contatta il rabbino capo di Roma, Angelo Sacerdoti, il quale all’inizio pensa sia uno scherzo.
Manduzio però insiste e il rav prende a interessarsi alla questione mettendo però in chiaro che “l’ebraismo è assai poco incline al proselitismo e solo eccezionalmente accetta proseliti”. Nel 1936 il gruppo di Sannicandro conta una cinquantina di persone, compresi i bambini, e mentre i contatti con Roma si fanno più stabili ogni tanto riceve la visita di ebrei “nati nella Legge”. Le leggi razziali, due anni più tardi, non scalfiscono le loro convinzioni.
Malgrado i consigli del nuovo rabbino di Roma, Davide Prato, i “Fedeli di Levi”, come li chiamano i paesani, firmano in massa un documento in cui si dichiarano ebrei e si professano di religione ebraica anche davanti alle autorità. E forse grazie alla rete di parentele e solidarietà che lega i paesani, queste sembrano dimenticarsi di loro.
Gli ebrei di Sannicandro attraversano così indenni gli anni delle persecuzioni finché nell’autunno del ‘43 incontrano i soldati della Brigata ebraica che per la prima volta schiudono loro la prospettiva dell’emigrazione. La svolta avviene nella prima settimana dell’agosto 1946. Con una cerimonia collettiva si celebra la conversione di parte del gruppo con un’immersione rituale nelle acque dell’Adriatico. Due anni dopo c’è una seconda tornata di conversioni e grazie ai riflettori dei media il mondo scopre questa vicenda affascinante.
Manduzio muore nel 1948 e tra il ‘49 e il ‘50 la piccola comunità emigra in Israele dove si stabilisce prevalentemente al Nord, tra Biria e Zefat. Al paese rimangono solo quattro donne che non hanno potuto affrontare la conversione. Sembra l’inizio della fine ma le quattro signore non s’arrendono, tengono viva la tradizione di Manduzio, la trasmettono alle nuove generazioni. E il resto è storia di oggi.

(Nell’immagine un gruppo di ebrei di Sannicandro con Enzo Sereni, con gli occhiali, 1943)