Torah – Giacobbe e il faraone

“E farai per me un atto di vera bontà, non seppellirmi – per favore – in Egitto” (Bereshìt 47;29).
Con la nostra parashà si conclude il primo libro di Torà, ma anche la vita e la storia dei nostri patriarchi, compreso Josef e i suoi fratelli.
Dopo venti anni di lontananza, finalmente Giacobbe rivede il suo amato figlio Giuseppe, il quale prima di morire gli farà conoscere i suoi due figli, prosecutori della sua famiglia.
Giacobbe inoltre fa giurare solennemente a Giuseppe di non seppellirlo in Egitto, ma di portarlo nella Terra di Cana’an e seppellirlo nella grotta di Makhpelà dove sono seppelliti Leà sua moglie, Isacco e Rebecca suoi genitori e Abramo e Sara suoi nonni.
Rashì cerca di dare una interpretazione a questa forte volontà di Giacobbe e la spiega con tre possibilità interpretative.
Prima spiegazione: Giacobbe non vuole essere sepolto nelle piramidi perché ha paura dei cerimoniali pagani dell’Egitto e soprattutto teme di essere idolatrato dagli egiziani stessi.
Seconda spiegazione: nel momento in cui l’Egitto verrà punito con la piaga dei pidocchi, il Signore dirà a Moshé di prendere della terra dal terreno e gettarla verso l’alto così da tramutarsi in pidocchi. In quel modo, anche parte di Giacobbe – Israel sarebbe capitata in mezzo a quella sciagura.
Terza spiegazione: secondo l’interpretazione mistica, dopo la morte terrena le anime si ricongiungo ai loro cari ed essendo sepolti assieme, si garantisce la loro vicinanza sin da subito.
Nonostante le varie spiegazioni e interpretazioni di altri esegeti, il motivo primario è che Giacobbe, avendo conosciuto il Faraone, ne comprende subito l’indole e capisce che difficilmente permetterà ai suoi figli di uscire dalla sua nazione. Per questo preferisce, prima che inizi la loro schiavitù, ritornarsene anche da morto nella sua amata terra.

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Venezia