Mattarella all’ambasciatore iraniano: “Indignato per la brutale repressione”
Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha chiesto ieri al nuovo ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran, Mohammad Reza Sabouri, che si ponga “immediatamente fine alle violenze rivolte contro la popolazione” da parte del regime di Teheran. Mattarella ha espresso la “ferma condanna della Repubblica italiana, e la sua personale indignazione, per la brutale repressione delle manifestazioni e per le condanne a morte e l’esecuzione di molti dimostranti”. Un passo che il Corriere sottolinea essere senza precedenti. “Una deplorazione non solo molto dura ma clamorosa. – spiega il quirinalista Marzio Breda rispetto alla mossa del Presidente – Infatti, non si ricordano prese di posizione di analoghi toni, al Quirinale. Tanto meno in una cerimonia dal carattere rituale, e dunque di solito anodino, come la presentazione delle lettere credenziali”. Rivelatore, aggiunge Breda, anche il fatto che il Capo dello Stato abbia voluto rendere pubblico questa dura presa di posizione, attraverso una nota ufficiale. La repressione intanto continua e tocca anche ex uomini di governo, racconta il Foglio: tra i condannati a morte c’è anche un ex viceministro della Difesa, Alireza Akbari, che ebbe un ruolo chiave nei negoziati con l’Amministrazione Obama per l’accordo sul nucleare iraniano del 2015. L’accusa è di essere una spia britannica. La Stampa riporta invece la testimonianza di una prigioniera del famigerato carcere di Evin: in una lettera pubblicata dalla Bbc, Sepideh Qolian, detenuta da quattro anni, parla delle brutalità e degli abusi sessuali subiti da lei e da altri detenuti.
Notizie preoccupanti poi, scrive Repubblica, arrivano anche sul fronte della corsa all’atomica iraniana che prosegue. “Proprio ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha incontrato il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi, con il quale ha avuto uno scambio di informazioni sul nucleare del Paese Islamico”.
Aiuti all’Ucraina. Il Senato ha dato ieri il via libera al decreto approvato dal governo a dicembre, che proroga sino alla fine dell’anno il sostegno all’Ucraina. Il provvedimento è stato approvato da tutti i partiti tranne il M5S e l’Alleanza Verdi sinistra e ora dovrà passare alla Camera (23 gennaio).
Sul campo, l’aggressione russa prosegue: l’esercito di Mosca ha di recente conquistato Soledar, piccolo centro nell’Ucraina dell’est. Si tratta del suo primo successo da agosto dell’anno scorso, quando la controffensiva ucraina ha iniziato a sbaragliare le forze russe. Putin nel mentre, racconta Repubblica, ha deciso di modificare la catena del comando militare, affidando al capo di Stato maggiore Gerasimov la guida delle operazioni in Ucraina. Secondo l’analista Mark Galeotti questa nomina – oltre a mettere Gerasimov nella condizione di diventare il capro espiatorio per i fallimenti militari russi, distogliendo l’attenzione da Putin – è diretta a mostrare “che la Russia è impegnata a lungo termine e sperare che l’Occidente perderà la voglia e l’unità per continuare a sostenere Kiev”.
Brasilia, assalto organizzato. Dopo l’assalto ai palazzi del potere da parte dei manifestanti pro-Bolsonaro, si continua a cercare di fare chiarezza sulle modalità con cui l’attacco è stato organizzato e sulle responsabilità. Il presidente Lula ha esonerato i vertici di tutte le forze di sicurezza per la gestione del tentato golpe di domenica. E ha accusato Bolsonaro di aver promosso l’azione: “il presidente che ha lasciato il potere – ha dichiarato Lula – non vuole riconoscere la sconfitta e si serve di un gruppo di pazzi, di persone con poco senso del ridicolo”. Il Corriere spiega che nel frattempo “cresce la consapevolezza che l’assalto non è stato per nulla spontaneo, ma ben pianificato e finanziato. Tre giornalisti si sono infiltrati nell’accampamento che per 60 giorni i ‘bolsonaristi’ hanno abitato, indisturbati, proprio di fronte al quartier generale dell’Esercito a Brasilia. Raccontano di una struttura molto ben organizzata, con baracche per dormire, bagni chimici e aree per mangiare”. Ora, prosegue il Corriere, l’obiettivo è capire chi abbia finanziato tutto questo.
L’attacco a Parigi. “Non si può ancora parlare di attacco terroristico, spetta al magistrato il compito di caratterizzare l’atto. Che io sappia l’uomo non ha parlato durante l’attacco”. Così il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, commentando l’attacco di ieri in Gare du Nord, la stazione ferroviaria più frequentata di Parigi, dove un uomo armato di un punteruolo ha ferito sei persone. L’assalitore, un ventiduenne libico, è stato poi neutralizzato dalla polizia e ora è ricoverato in ospedale.
Pietre d’inciampo. Continuano le iniziative per l’installazione nelle città italiane delle Pietre d’inciampo. Tra oggi e domani, come racconta Repubblica nelle sue pagine locali, sarà Torino ad accoglierne di nuove – due saranno dedicate alla nonna e alla madre di rav Giuseppe Laras, Nella Della Rocca e Gina Sbrana -. Un’iniziativa sostenuta da diverse istituzioni locali tra cui la Comunità ebraica. Inoltre, all’artista ideatore delle pietre, Gunter Demnig verrà conferito nel pomeriggio il titolo di “Accademico d’Onore” dall’Accademia Albertina di Belle Arti. La prossima settimana – il 18 gennaio – anche Trieste avrà nuove Stolpersteine: quindici, che si aggiungeranno alle 83 già posate in città. La prima della giornata – riporta il Piccolo – sarà posata in memoria di Maura Morpurgo, insegnante di liceo assassinata ad Auschwitz.
Bologna non dimentica. La vicenda di Laura Orvieto, scrittrice per l’infanzia perseguitata dalla leggi razziali. Quella di Arpad Weisz, l’allenatore del Bologna morto ad Auschwitz. E le parole di Edith Bruck, autrice e regista ungherese sopravvissuta alla Shoah. Sono alcune delle storie che rivivono nel ciclo di appuntamenti organizzati dalla Regione da oggi al 27 gennaio nella sede dell’Assemblea legislativa in viale Aldo Moro 50 per la Giornata della Memoria (Repubblica Bologna). Primo appuntamento, l’inaugurazione della mostra “Insegnare narrando storie. Laura Orvieto e il suo mondo” a cura di Caterina Del Vivo, realizzata dal Museo ebraico di Bologna.
Liberare l’Italia. Cacciato dall’esercito italiano a causa delle leggi razziste, Alex Sabbadini si imbarcò nel 1939 per gli Stati Uniti. Dopo essere stato rifiutato due volte, riuscì ad entrare nell’esercito Usa, partecipando alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. A raccontare la sua storia sulle pagine di Repubblica, la nipote Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat. “Alex – scrive Sabbadini – è un simbolo di riscatto e di riscossa degli ebrei italiani. E io da piccolina riflettevo e imparavo. Avrebbe potuto rimanere negli Usa e aspettare la fine della guerra, mi dicevo. Ha sentito il dovere di agire per il bene di tutti. E in questo mi e ci ha dato una lezione di vita”.
Dialogo. Domenica 15 gennaio a Milano si celebra la ventiquattresima edizione della Giornata del dialogo ebraico-cristiano. Tema di quest’anno “Consolate, consolate il mio popolo (Isaia 40,1-11)”. A intervenire a Milano sull’argomento, rav Alfonso Arbib, rabbino capo della città e presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana, Maria Teresa Milano, ebraista, scrittrice e musicista, e il gruppo klezmer Mishkalé.
Daniel Reichel