Cracovia e le memorie di gioventù,
il viaggio di Polanski e Horowitz

Nelle sale italiane dal 25 gennaio il documentario “Hometown” che elabora un recente viaggio a Cracovia (dove sono entrambi nati) svolto dal regista premio Oscar Roman Polanski e dal fotografo di fama Ryszard Horowitz. Prodotto da Krk Film con Èliseo entertainment di Luca Barbareschi, il lavoro di Mateusz Kudla e Anna Kokoszka – Romer è stato protagonista in ottobre alla Festa del Cinema di Roma e torna ora in Italia con l’occasione del Giorno della Memoria. Un’opportunità di fruizione che si apre quindi ora a un pubblico nazionale.
“Roman e io non abbiamo mai parlato di questi argomenti. Finalmente abbiamo l’opportunità di rinfrescarci la memoria e di renderci conto che non abbiamo dimenticato, che tutto si è fissato nelle nostre menti” afferma Horowitz, che sopravvisse bambino ad Auschwitz, in uno dei passaggi introduttivi del dialogo con Polanski, interamente in polacco, mentre passeggiano per le strade del centro storico di Cracovia. Molte le tappe. E molte le sorprese. “È bello qui”. “Sì, è carino”. “Ma è un concetto completamente diverso”. “Sembra Disneyland”. “Hai ragione. Ti saresti mai aspettato di vedere Cracovia così?”.
Davanti alla porta dell’appartamento che fu di sua nonna Polanski, che trovò rifugio presso una famiglia polacca, indugia. C’è la curiosità di varcarne la soglia, di vedere cosa è rimasto e cosa no. Ma alla fine sceglie di rinunciare. “I ricordi sono terribili, lo devo ammettere. Non li voglio cancellare, voglio che rimangano nella mia memoria così come sono. Non li voglio deformare”, confida a Horowitz. È il ricordo che schiude la memoria della guerra, della persecuzione, del ghetto. È il periodo cui risale anche la loro conoscenza e amicizia, rimasta salda negli anni. C’è una forte complicità d’altronde in questo loro camminare a ritroso nel tempo. Gli sguardi, le parole, i dialoghi. L’uso talvolta dell’ironia come arma, come scudo per proteggersi dal flusso di situazioni e persone che tornano alla mente.
Ne è valsa la pena. È stato importante farlo, convengono Polanski e Horowitz. L’ultima scena, toccante, è dedicata alla famiglia di contadini che accolse il piccolo Roman in casa. Dal 2020 Stefania e Jan Buchala sono entrati tra i “Giusti” riconosciuti dallo Yad Vashem: la chiusura ideale di un cerchio.
“Il progetto è nato alcuni anni fa. La cosa difficile non è stata tanto realizzarlo, quanto arrivare a Polanski”, hanno raccontato i due giovani registi (31 anni lui, 34 lei) durante la conferenza stampa di presentazione di ottobre. L’occasione è stata data dalle riprese de L’ufficiale e la spia, il film che Polanski ha dedicato all’Affaire Dreyfus (e di cui Barbareschi è stato produttore). “La conoscenza con Roman è ormai di lungo corso. È il più grande artigiano che abbia mai conosciuto e un uomo dotato di senso dello humor e correttezza dei rapporti”, il suo apprezzamento. Barbareschi aveva anche aggiunto: “Appena ho visto il documentario ho intuito che fosse qualcosa di speciale nel suo genere. Non era semplice mettere accanto due monumenti dell’arte, farli sentire a proprio agio e farli raccontare”. Un film, il suo pensiero, “che restituisce a Polanski la dignità che merita”.