Il ‘900 e i percorsi della Famiglia F.

È storia italiana, e in particolare storia della sinistra italiana vista con le lenti di una famiglia che l’ha vissuta sempre in prima linea, quella di Anna Foa, la quale con il suo La famiglia F. (Laterza, 2018) ne offre una ricostruzione intima. Attraverso una densa mole di fonti, di memorie, saggi, impressioni personali e ritratti prende forma un lessico familiare che scavalca la mera autobiografia, e riflette sulla continuità tra il nostro passato e il nostro presente. Nel libro, tra Torino e Roma, si intersecano le vicende dei Foa, ebrei piemontesi di origine occitana, e dei Giua, ramo materno dell’autrice, nonché di altre numerose personalità che si sono affastellate in oltre un secolo di storia, come Primo Levi, Palmiro Togliatti, Ada Gobetti o Natalia Ginzburg. Filo conduttore la memoria resistenziale e anti-fascista, a cominciare dall’eroismo di Renzo Giua, fratello della madre di Anna, con il quale si apre la narrazione, esule a Parigi e partito poi volontario per la Guerra Civile Spagnola, ucciso dai falangisti nel 1938. Con la conseguente domanda, da parte dell’autrice, su come continuare a praticare questo tipo di eroismo, che resterà sedimentato come modello da imitare in figli e nipoti, in un “contesto normale” privo di guerre e regimi da contrastare. Un antifascismo che interessò sempre gran parte dei componenti della famiglia, come quello di Vittorio, padre di Anna, membro di spicco del gruppo torinese di “Giustizia e Libertà”, incarcerato a causa della sua militanza politica dal 1935 al 1943, anno nel quale si unì alla resistenza con il Partito d’Azione, per poi diventare nel dopoguerra uno tra i più celebri politici e sindacalisti italiani del Novecento.
Il carcere, un lento periodo vissuto dal padre all’insegna della formazione culturale e della riflessione, tanto che, come scrive Anna Foa “ne restò, in famiglia, l’idea che per farsi davvero una cultura fosse indispensabile andare in prigione”, paradossalmente, mise al riparo Vittorio dalle leggi razziste che verranno applicate dal regime fascista nel 1938. Gli altri due fratelli Foa, Anna e Beppe, si salvarono emigrando negli Stati Uniti, diventando americani a tutti gli effetti. Pur non abbandonando l’impegno civile e politico, i nonni invece riuscirono a nascondersi nelle vicinanze di Torino. Ci fu anche chi però morì nei lager nazisti, come due cugine della nonna della voce narrante. Con questo retaggio e in un Italia travolta dall’occupazione nazista e dalla lotta partigiana, nacque in clandestinità Anna nel 1944, sotto falso nome. “Sembra che dopo la mia nascita qualche arma sia anche stata trasportata nella mia carrozzina, sotto le mie copertine” racconta. Una nascita non scontata, visto che la madre Lisa, staffetta partigiana, nel pieno della gravidanza, venne catturata dalla Banda Koch, e la liberazione avvenne soltanto grazie all’intervento dell’arcivescovo di Milano, il cardinal Alfredo Schuster.
La sua infanzia e la giovinezza nel dopoguerra vengono vissute insieme all’intera famiglia seguendo sempre le vicissitudini politiche nazionali e globali: la guerra fredda, il sessantotto e la contestazione studentesca, la decolonizzazione e i genocidi in Africa, il crollo del muro di Berlino e la crisi della sinistra europea. Il rapporto stesso dei genitori di Anna, Vittorio e Lisa, coincise anch’esso in parte con la passione politica, “un intento di cambiare il mondo, come ricerca, intreccio tra etica e politica”, entrambi su fronti e con idee spesso distanti, ma capaci comunque di “pensare con la propria testa” indipendentemente da dogmi e schieramenti ideologici tanto diffusi all’epoca.
Le divergenze con il resto della sinistra italiana che inevitabilmente emersero continuarono infatti ad essere intraprese da parte di tutti i componenti della famiglia da una postura interna, come il sostegno per i dissidenti est-europei o la decisa condanna nei confronti del terrorismo “rosso”. Tendenze che andavano necessariamente combattute da dentro, pur con difficoltà, poiché vi era sempre il rischio di venire isolati e di essere tacciati come “eretici”. Tema centrale è anche il rapporto dei Foa con l’ebraismo, un “ebraismo assimilato”, come lo descrisse Vittorio, ma che vanta un bisnonno rabbino, Giuseppe, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, il quale in contrasto con il sionismo abbracciato da Dante Lattes e in ossequio al Risorgimento si considerava “più che Israelita, anzitutto Italiano”. Il legame stretto con l’ebraismo da parte della protagonista, acquisito come per molti altri ebrei italiani per via paterna, la conduce ad un riavvicinamento formale in età adulta, al tempo della guerra del Libano, grazie anche alle lezioni di Torah e Midrash svolte da Giacoma Limentani, “che superando l’ottica puramente politica di Israele e Palestina, guardava invece alla cultura e alla tradizione”.
Un ritorno alle origini che continuerà a coniugarsi con il laicismo, e con una concezione pluralista e universalistica nei confronti del mondo, ereditata forse anche da quella Torino ebraica che tanto contribuì con le sue personalità alla lotta antifascista, o da altre figure mitiche, come quella dello zio Nathan, rivoluzionario anarchico morto in miseria a Parigi nel 1936. Il fascino per il libertarismo e la diffidenza verso il “senso dello stato” è presente del resto anche nella madre Lisa, e anche nel Vittorio adolescente che per quanto distante per idee, conferma nei riguardi dello zio Nathan “un’influenza nel campo dell’educazione morale, dello spirito di sacrificio, e della militanza”. Questo percorso rievocativo di un mondo ormai scomparso fa inevitabilmente i conti con la disillusione nei confronti del comunismo, sulla quale si inserisce anche l’esperienza politica del fratello Renzo, ex direttore dell’Unità e morto nel 2008, cercando di dar voce a una speranza, a una “nostalgia del futuro”, in mezzo a questi tempi forieri di catastrofe. L’auspicio di un ritorno all’impegno politico e a una vita activa, che senza negare ciò che è stato e ciò che siamo stati, torni a guardare oltre, avanti, dove politica, come scrive Vittorio Foa “non è solo comando, è anche resistenza al comando, e non è, come in generale si pensa, solo governo della gente, politica è aiutare la gente a governarsi da sé”. Parole da scolpire.
Francesco Moises Bassano – Pagine Ebraiche agosto 2018
(Nell’immagine: Vittorio Foa con la moglie Lisa Giua e i figli; Anna nacque nel 1944, in piena guerra di Liberazione dal nazifascismo. Nella sua carrozzina, racconta, pare sia stata trasportata anche qualche arma.)