Spuntini di parasha, pensieri e pagine per festeggiare l’ingresso nell’età adulta
Il momento del Bar Mitzvah rappresenta per l’ebraismo la transizione dall’infanzia alla vita adulta. Dalla dipendenza dei genitori alla presa di responsabilità. “La vita ebraica è innanzitutto questo, la capacità di assumersi delle responsabilità e agire di conseguenza ed è questo il Significato di diventare bar mitzvah”, scrive rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, salutando così l’ingresso nell’età della responsabilità di Ashèr Barki. Parole, quelle del rav, parte del volume curato dal padre di Ashèr, Raphael Barki, e dedicate a questo importante passaggio, festeggiato in Israele. Un volume in cui sono raccolti interventi di diversi rabbini italiani e israeliani, così come le riflessioni sulla parasha, di settimana in settimana, firmate dallo stesso Barki, già presidente del Comites di Tel Aviv. Pensieri che i lettori del notiziario Pagine Ebraiche 24 hanno imparato a conoscere e apprezzare nella rubrica “Spuntino”, pubblicata su queste pagine. Spuntini dunque ora diventati un volume (disponibile qui) per festeggiare la maggiore età di Ashèr e basato prevalentemente sugli insegnamenti di rav Bentziyòn Mutzàfi, come racconta lo stesso Barki nell’introduzione che pubblichiamo di seguito.
Ad Ashèr, ai genitori e a tutte le persone care al festeggiato il più affettuoso Mazal Tov della redazione.
Lo Spuntino sulla Parashà é nato circa due anni e mezzo prima della pubblicazione di questo testo. Dopo aver appassionatamente ascoltato le dotte lezioni del Rav Ben-Tziyòn Mutzàfi su YouTube, ho deciso di mettere per iscritto alcuni dei suoi preziosi insegnamenti con lo scopo di conservarli e condividerli. La prima stesura sperimentale é circolata settimanalmente su WhatsApp ed era indirizzata ad una ristretta cerchia di amici e parenti. Il secondo ciclo é stato ospitato su moked.it, il portale dell’ebraismo italiano, che raggiunge migliaia di lettori. Ad un certo punto, con l’aiuto di D-o e di mia moglie Miky, con l’avvicinarsi del Bar Mitzvà di nostro figlio Ashèr, ho deciso di raccogliere questi articoli in un libro che possa rimanere a lui, a nostra figlia Elianà e alla loro discendenza.
Tra le caratteristiche che amo di più di Rav Mutzàfi ci sono l’umorismo e il legame affettivo con il suo pubblico. Si tratta di individui che lo seguono regolarmente di persona, principalmente nella Sinagoga Musayòf – sita nel quartiere Bukhàri di Gerusalemme, alla radio (Kan Morèshet) e su internet (https://www.doresh-tzion.co.il). Con una profonda conoscenza delle Fonti ed un inequivocabile amore per la Torà, il Rav riesce a stimolare nei suoi discepoli l’interesse e la voglia di approfondire lo studio per saperne di più.
Secondo l’’Etz Chayìm (l’antologia, curata da Rabbì Chayìm Vitàl, degli insegnamenti di Rabbì Itzchàk Lùria, noto come Arizàl) la Torà é il “mazòn” ( = nutrimento) del Nèfesh, la parte dell’anima più vicina al mondo materiale. Come per il cibo, anche per lo studio della Torà vale il detto: “l’appetito vien mangiando.” Il formato, breve e di immediata fruizione (facilmente, almeno mi auguro, “digeribile”), ed il nome, Spuntino, di questi commenti al brano settimanale della Torà, alludono all’intento di fornire un assaggio “stuzzichevole” che stimoli il lettore all’analisi del Testo senza accontentarsi dell’antipasto. Anche lo studioso più esigente ed insaziabile può trovare nella Torà pane per i suoi denti e delizie per il suo palato.
É nota la benedizione di Bil’àm che, controvoglia, loda le tende e le residenze dei figli di Israele. In realtà questo profeta malvagio intendeva minare l’essenza del focolare domestico ebraico e cioè la famiglia e l’intrinseca ereditarietà. Senza questi due elementi la catena generazionale dell’ebraismo non può reggere, Chas VeShalòm. Giacobbe, nell’incontro con suo suocero Labano, tira in ballo il padre, Isacco (Gen. 31:42). In quell’occasione Labano sceglie di presentarsi menzionando il nonno, Nachòr (Gen. 31:53), fratello di Abramo. Questo scambio di credenziali prova che Labano non sente alcun legame verso suo padre. Giacobbe dimostra invece che la gloria dei padri sono i figli e quella dei figli sono i loro padri, mettendo in evidenza l’importanza di ogni singolo anello della catena generazionale.
Caro Ashèr, ti auguro che la tua discendenza possa vedere in te un riferimento imprescindibile della continuità dell’ebraismo così come hai saputo dimostrare nei confronti dei tuoi genitori. Quando abbiamo iniziato questo percorso ti ho chiesto secondo quale cantillazione avresti voluto studiare la parashà. Ti ho offerto la possibilità di scegliere fra tre riti: 1) milanese (quello del mio Bar Mitzvà, che conosco meglio); 2) gerosolimitano (quello locale di Israele, dove hai avuto il privilegio di nascere); 3) tripolino (quello della mia città natale, a me ignoto fino a qualche mese fa). Senza indugio hai scelto il terzo, regalandomi così l’opportunità di colmare un vuoto nella mia formazione di ebreo di origine libica. Grazie alla tua scelta ho potuto imparare insieme a te i Te’amìm ( = segni del canto) che certamente hanno accompagnato i miei (nostri!) avi e, prima che potessi prenderne coscienza, la mia infanzia, com’é detto:
“E ricongiungerà il cuore dei padri sui figli ed il cuore dei figli sui loro padri [..]” (Malachia 3:24).
“E ripeterai [gli insegnamenti della Torà] per i tuoi figli e ne parlerai” [..] (Deut. 6:7)
Raphael Barki