Bologna e gli anni più duri,
nelle carte dell’archivio Sinigaglia

I Sinigaglia sono una famiglia normale, benestante, di provenienza mantovana e perfettamente inserita nel contesto sociale di Bologna. Hanno un negozio di abbigliamento e biancheria intima in pieno centro, frequentato da tante signore “per bene”. I ragazzi vanno a scuola. Con la promulgazione delle leggi razziste l’attività commerciale deve essere ceduta, il tenore di vita si abbassa, i ragazzi non possono più andare a scuola. A farne le spese anche la nonna materna, non ebrea, classificata come tale nel censimento degli ebrei residenti in città. Anche lei, quindi, correrà molti rischi. Pur inconsapevolmente. Una vicenda che si dipana nella mostra “La Shoah a Bologna nelle carte dell’archivio Sinigaglia” al Museo ebraico cittadino, a cura di Vincenza Maugeri, Francesca Panozzo e Caterina Quareni. Ad inaugurarla il presidente del Museo Guido Ottolenghi e il presidente della Comunità ebraica Daniele De Paz.
In evidenza fino al 12 marzo l’archivio familiare dei Sinigaglia, donato al museo nel 2022, con le sue lettere, i suoi documenti, le sue foto, ma anche piccoli diari e testimonianze orali. Un itinerario che dall’unicità di una singola vicenda e di singole sensibilità individuali fa desumere “la situazione di un’intera comunità, quella ebraica, inserita in una società cittadina divenuta improvvisamente ostile”. E che permette anche di osservare come l’astrazione delle norme e disposizioni del tempo vada a incarnarsi “in una quotidianità ostacolata da restrizioni sempre più soffocanti e infine resa impossibile da una seria minaccia di morte”. A corredo della mostra il docufilm Album di famiglia di Valentina Arena, regista e videomaker.
L’inaugurazione è stata seguita dalla presentazione del volume di Francesca Panozzo È presa la decisione di espatriare. Storia di una famiglia ebraica tra persecuzione e dopoguerra (Minerva, Bologna 2023). A parlarne con l’autrice Caterina Quareni, Massimo Sinigaglia, Franca Heiman e Marco Fiorentino. “La ricostruzione della vicenda della famiglia Sinigaglia è un esempio da manuale di un buon uso della documentazione storica e archivistica”, il pensiero del direttore della Fondazione Cdec Gadi Luzzatto Voghera. “Piccole storie personali sono ricostruite disponendo di dati archivistici certi e vengono connesse alle vicende storiche generali aiutando il lettore e la lettrice a spiegare situazioni che altrimenti potrebbero sembrare oscure. Un buon esempio di scrittura di storia”.

Di seguito l’intervento di Guido Ottolenghi:

Autorità, cittadini, amici, apriamo oggi le iniziative per la XXIII Giornata della Memoria. Ormai da molti anni noi del Museo, insieme alla Comunità Ebraica, alle Autorità e a molti cittadini sensibili, ci ritroviamo per proporre iniziative che aiutino il mantenimento della memoria e la comprensione dei meccanismi che possono portare alla persecuzione e alla perdita dei valori fondamentali della civile convivenza. Non è facile perché quelle della Shoah furono davvero tragedie inenarrabili, che si consumavano, tra l’altro, nel mezzo di altre tragedie. Per raccontarle vi è chi ricorre alle corde emozionali, chi al rigore accademico, chi al tasto istituzionale. Meno di un secolo fa, in una Europa civile e sviluppata, scientificamente e industrialmente all’avanguardia, portatrice di valori nobili nella politica e nella morale, intere nazioni vollero credere che gli uomini potessero evolvere in super uomini, ma questa idea creò solo uomini abietti, loro sì sub umani. Lo sterminio di sei milioni di cittadini, in base alla loro nascita, attuato utilizzando le migliori conoscenze tecnologiche e burocratiche, per il solo fatto di essere di discendenza ebraica, è stato un evento senza eguali nella storia, pur in mezzo a innumerevoli altre crudeltà. Perché è utile conoscere e ricordare queste cose? Anche oggi mi permetto di ricordare due idee importanti:
La prima è che quando le difficoltà si addensano (nella società, nella famiglia, nella vita personale) l’istinto ci porta a dare la colpa a un nemico, a un complotto: non è che non esistano nemici o complotti, ma quando spieghiamo la realtà e i nostri limiti dando la colpa agli altri, abbiamo rinunciato alla nostra libertà e alla possibilità di migliorarci. Per questo l’antisemitismo non è solo un fallimento della morale e della ragione, è un termometro che segnala che la società, quando ne è pervasa, sta per farsi del male.
La seconda idea da ricordare è che questo male si radica in un contesto di indifferenza: ciascuno di noi ha altro da fare, interessi da curare, urgenze da sbrigare e i problemi della società, o quelli del vicino, non sono nostri problemi. Quando questo si verifica l’oscurità si diffonde.
Noi non creeremo mai un superuomo, né una società perfetta secondo il disegno di qualche pianificatore. Noi miglioriamo il mondo con lo sforzo di ognuno per preservare la libertà: è in essa che le persone di buona volontà, con genio ed errori, aiutano la società. Per questo io credo che questa giornata ci riguardi individualmente, come cittadini, politici, lavoratori, membri di una famiglia, perché in fondo anche noi, con genio ed errori, cerchiamo di migliorare la realtà nella libertà, e perché questa libertà che si costruisce e si difende ogni giorno con piccole azioni, è un ingrediente essenziale per un futuro giusto.
Quest’anno il nostro lavoro si è concentrato su due esposizioni: La prima è la mostra Mario Finzi. Un ragazzo fantastico, che verrà inaugurata il 27 gennaio a Palazzo d’Accursio dopo la cerimonia della Seduta solenne del Consiglio comunale: la mostra costruita sul fondo Finzi-Castelfranchi donato al MEB nel 2008, riporta attenzione sulla figura di Mario Finzi, la cui parabola esistenziale è di estremo interesse. Ripercorre la vita di un ragazzo fantastico perché intelligente e generoso, che amava la vita e la musica, capace di profonde riflessioni filosofiche come si evince dal suo epistolario. Ma era fantastico soprattutto perché era un ragazzo, e non accettava le costrizioni di un’ideologia perversa e disumana. La seconda mostra è quella che oggi qui vediamo negli spazi del museo: La Shoah a Bologna nelle carte dell’archivio Sinigaglia. Ci racconta la storia di una famiglia ebraica bolognese, i Sinigaglia, che riesce a sopravvivere nel drammatico periodo compreso tra il 1938 e gli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Seguendo la loro storia, attraverso il loro archivio fatto di lettere, documenti, foto, piccoli diari, testimonianze orali, si può cogliere nella sua concretezza l’impatto delle leggi razziali e della persecuzione antisemita nella vita di tutti gli italiani ebrei. Dall’unicità di una singola vicenda e di singole sensibilità individuali, si apre una finestra sulla situazione di un’intera comunità, quella ebraica, inserita in una società cittadina divenuta improvvisamente ostile e si osserva come l’astrazione di norme e disposizioni si incarna in una quotidianità ostacolata da restrizioni sempre più soffocanti e infine resa impossibile da una seria minaccia di morte.
Il MEB ha cercato di fare buon uso della documentazione storica e archivistica, che negli anni è andata ad arricchire il proprio patrimonio. Al pari delle altre istituzioni museali, il MEB ha da sempre fatto affidamento sulla donazione di documenti, materiali, memorie che aiutino a conservare, ricostruire, spiegare e interpretare le esperienze e la vita delle generazioni precedenti, di protagonisti ormai scomparsi, collegati al periodo in cui sono vissuti e a un territorio di appartenenza. Questo lavoro di raccolta di archivi è prezioso per il nostro territorio ed è possibile grazie alla fiducia che il nostro Museo ha potuto consolidare nel tempo elaborando e rendendo disponibili i documenti in un dialogo con la città e la regione. Io spero che anche quest’anno il lavoro del Museo, che si inserisce in una articolata offerta con la Comunità Ebraica e altre istituzioni, sia all’altezza del compito. Grazie della vostra attenzione.

Guido Ottolenghi, presidente Museo ebraico di Bologna

Di seguito l’intervento di Daniele De Paz:

Grazie alla famiglia Sinigaglia e alla famiglia Heiman, di cui gli eredi oggi qui presenti, per consegnare un altro tassello di storie e racconti che fanno ancora della memoria uno strumento efficace per costruire il futuro.
A settantotto anni dalla Shoah, lo stereotipo antisemita è vivo e presente su un terreno che sottostà alle più diverse genealogie politiche. È pronto per essere usato da chi cerca il nemico a cui attribuire i mali di cui si sente colpito o di cui crede colpita la società. Queste operazioni sono favorite dall’alta temperatura di odio che vediamo innalzarsi sempre di più, giorno dopo giorno. Purtroppo il mix culturale, provoca in alcuni atti violenti o addirittura azioni terroristiche.
La prima considerazione che dovremmo fare questa è se parlare di antisemitismo o giudeofobia, che hanno in comune l’odio per gli ebrei.
La giudeofobia è un fenomeno antico di cui l’ebraismo, in quanto credo monoteistico, rivoluzionario e di moralità sacra, ne porta la responsabilità ed il relativo costo delle conseguenze.
L’antisemitismo è invece un fenomeno moderno, reazionario, pagano, di cui la società occidentale europea porta la responsabilità etica, politica e umana.
I due fenomeni confluisco nella nostra epoca in manifestazioni pregiudizievoli contro Israele e che spesso sono filiazioni dirette dell’antisemitismo.
Va infatti ricordato che gli atti antisemiti provengono da vari mondi: neonazisti o neofascisti, islamici, antisraeliani, suprematisti, settori nazionalisti, gruppi settari di ogni tipo.
C’è da fare i conti con il clima di odio delle nostre società e con il linguaggio dell’odio che induce a tante imprevedibili pratiche di esso.
Non è solo con le cerimonie di questo Giorno che si genera cultura di convivenza e memoria, bensì un lavoro che dura un anno intero. Lavoro che ci fa riflettere su come non si può difendere la memoria del lontano passato e dimenticare che nel presente si sta verificando lo stesso odio e le stesse forme di propaganda.
Leggiamo quotidianamente di fatti di violenza e odio e il rischio è quello dell’abitudine e dell’indifferenza. Ci si abitua, purtroppo, anche all’antisemitismo, come alle proteste contro di esso.
Primo passo, garantire la libertà alle persone attraverso la formazione, la cultura e l’amicizia. Non esprimiamoci con parole di odio, ma dichiariamo piuttosto che quegli ammiratori del nazismo che si nascondono nell’anonimato e che diffondono menzogne e calunnie, offese e minacce, sono solo da compatire, è gente veramente misera nell’animo.
Ricordiamoci che chi vuole il male del prossimo perde l’occasione di vedere le cose belle che la vita gli offre.
A volte sembra che la storia sia passata invano e il suo insegnamento non riesca ad attecchire nelle coscienze delle persone…
Esiste poi un altro fenomeno in crescita e molto grave, che è quello dell’antisemitismo online.
Che l’antisemitismo sia purtroppo un fenomeno in crescita, lo registra l’ultimo Rapporto Eurispes, secondo il quale il 15,6% degli italiani nega l’esistenza della Shoah e il 23,9% pensa che gli ebrei controllino il potere economico e finanziario.
Stereotipi frusti, figli di una cultura del negazionismo e di pregiudizi e discriminazioni che affondano le radici in un passato che non vede, da una prospettiva sociale, alcuna reale possibilità di riconciliazione con questa importante memoria storica.
Sui social, poi, la deriva antisemita assume connotati ancora più chiari, come conferma l’ultimo rapporto pubblicato da Vox- Osservatorio sui diritti, secondo cui oggi gli ebrei sono la seconda categoria più odiata su Twitter, dopo le donne, e registrano il 18,45% di tweet negativi sul totale.
Dobbiamo combattere l’odio non solo difendendo la memoria del passato, ma risvegliando le nostre coscienze.
E Bologna come sempre dimostra di essere un’eccellenza che, col contributo di tutti gli enti appartenenti al Tavolo Istituzionale per la Memoria, svolge un lavoro che si pone l’impegno e l’obbiettivo di generare in ognuno di noi la volontà di ampliare sempre più la verità. Perché nella Memoria e quindi nella storia risiede la Verità.
Città che ha visto realizzare negli ultimi 10 anni progetti oggi sono presi a esempio nel nostro Paese:

Il Memoriale della Shoah
La Corsa per la Memoria (RUN FOR MEM) quest’anno alla sua quinta edizione
L’intitolazione della Curva San Luca dello Stadio Dallara ad Arpad Weizs
La posa di pietre d’inciampo
I film documentari “Lettere dall’Archivio” e “sulle tracce di Mario Finzi”
E ancora l’intitolazione di giardini pubblici in memoria di Gemma Volli, Bianca Colbi Finzi e Camelia Mattatia
Le testimonianze di sopravvissuti ai campi di sterminio, tra cui Liliana Segre…
Pubblicazioni come “Ebrei d’Emilia Romagna” o “Tzachor”

Gli anni Venti del XXI secolo sono già segnati da fatti razzisti, antisemiti e più in generale di intolleranza. Noi questi anni li vogliamo davvero diversi, da quello che furono gli anni Venti del Novecento. Vorremmo che odio e antisemitismo fossero definitivamente seppelliti nel cimitero degli orrori del passato. Ma questo richiede un grande lavoro sistematico e profondo. Questo manifesterà che il XXI secolo è veramente nuovo e non una continuazione del passato.
Investiamo per la pace, opponiamoci ad ogni forma di violenza e di INDIFFERENZA

Daniele De Paz, presidente della Comunità ebraica di Bologna