Non smettiamo mai di interrogarci

Nel porre fine alla produzione di KZ lager e durante le presentazioni – purtroppo penalizzate dall’assenza di pubblico a causa delle restrizioni sanitarie – mi sono reso conto di quante cose avrei potuto ancora dire sulla Shoah e sull’ebraismo: ho constatato che almeno il 90% degli italiani – e sto parlando della platea diffusa, dove anche la presenza ebraica è pari a 4 su 10.000 persone e la condivisione arriva a 4 su 1.000 – sa pochissimo, ebrei compresi; alcuni sanno qualcosa ed è loro perfettamente sufficiente; forse soltanto l’1% sa poco e magari è disposto a saperne di più.
Come sempre ripeto, non voglio e non sono capace di sostituirmi agli studiosi veri e molteplici di entrambi gli argomenti: il mio scopo continua ad essere soltanto quello di divulgare, parlando in maniera accessibile a delle persone normali che non conoscono la materia: esattamente come mi pongo nei viaggi degli studenti e degli adulti; non per insegnare ma per far sapere, avendo catturato con la loro presenza anche la loro attenzione.
Se, dunque, nel primo libro avevo parlato delle visite – magari più volte ripetute – a 23 campi di concentramento o sterminio e ad altre 13 città o luoghi connessi alla Shoah, qui desidero far capire che la dimensione del genocidio fu estremamente più ampia. Gli storici ci dicono che i campi furono almeno 1.600, ma sicuramente molti di più; cui si aggiungono i plurimi luoghi di massacro e annientamento fisico delle persone, e la reinvenzione dei ghetti dove la costrizione fungeva da decimazione e transito verso lo sterminio. Tra gli uni e gli altri cito 372 luoghi di abominio distribuiti in tutta Europa, dall’Atlantico all’ovest della Russia; oltre a una faticosa composizione in sommatoria delle descrizioni, che fissa una media (tra minimo e massimo) di 5.273.000 ebrei cancellati dall’umanità soltanto nei siti qui citati.
Come già si vede, tradisco la mia preparazione riempiendo il libro di numeri: mi sembra l’unica maniera per far capire al lettore la dimensione, altrimenti quei “seimilioni” che tutti conoscono, resta limitato in una parola e non nella gigantesca estensione della cancellazione di due terzi di un intero popolo.

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In chiusura ho inserito un capitolo sull’Italia: senza alcun commento – come già dicevo in KZ lager, non desidero affrontare ferite che sono ancora aperte – voglio solo dimostrare che, malgrado la ridotta percentuale di deportazioni e uccisioni rispetto ad altri Paesi, gli italiani non sono stati proprio brava gente. Sono certo di sorprendere il lettore meno esperto elencando i nomi di 77 campi di concentramento italiani, 46 eccidi perpetrati in Italia, 26 retate di ebrei compiute nelle nostre città, la descrizione di uno dei più campi di concentramento italiano in Libia (oltre quelli in Croazia).
Molto complessa è stata la scelta iconografica al di là delle rappresentazioni geografiche – portate a termine con grandissima fatica per la difficoltà di posizionare luoghi spesso ormai dimenticati – perché, a differenza di KZ lager, non disponevo di alcun materiale originale. Ho vagliato decine di ipotesi – anche di riproduzione di opere dei deportati e altro – per approdare alla decisione che fossero ancora necessarie, per i miei lettori, delle rappresentazioni fotografiche che avvalorassero ciò che nel libro veniva descritto.

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Qualcuno potrebbe obiettare che per tutto l’ebraismo, la Shoah rappresenti un’ossessione e, magari, una noiosa continua richiesta di risarcimento.
Credo di poter affermare del tutto onestamente che, per me, si tratta di ricerca di conoscenza: proprio perché, chiamato casualmente a parlarne ai ragazzi o ai pochi adulti che se ne interessano ancora, mi sono ritrovato assolutamente ignorante; quindi spinto a conoscere di più e metterlo a disposizione dei miei utenti. Oltre a ritrovarmi inadeguato, perché, di fatto, venuto al mondo dopo quei terribili eventi, da una famiglia che ebbe la fortuna e le condizioni per salvarsi: posso affermare però, con certezza che non si tratti di alcun senso di colpa che qualcuno potrebbe attribuirmi.
Viceversa mi è chiaro il senso del dovere: la necessità di continuare a interrogarmi perché la Shoah ebbe luogo e promettere, a quell’esagerata quantità di defunti senza tomba, che li si ricorderà ancora e che nel grande insegnamento all’umanità non siano morti del tutto invano e possano ancora contribuire a far riflettere sulla storia dell’uomo e sulla sua innata capacità autodistruttiva.

Davide Romanin Jacur, KZ2 (Ronzani)

(Nell’immagine: il campo libico di Giado, realizzato dai fascisti)