La Banca d’Italia
e le leggi del ‘38

La finanza ebraica. Un elemento-chiave della propaganda antisemita che tuttora insinua i meandri dell’opinione pubblica e il chiacchiericcio da bar. Un po’ come sentire la battuta da vecchio cinepanettone che nella banca americana dove lavora il ragazzone ignorante della Roma generona “c’è una mafia giudìa che fa spavento!”. E allora, per venire ai fatti seri, cos’era la finanza ebraica in Italia al momento del varo delle infami leggi razziste? Nel 1938 esistevano nel paese nove ditte bancarie “ebraiche”. Sei di queste cessarono l’attività o vennero cedute prima del marzo 1940. La Banca Loria & Co. di Milano fu venduta e assorbita dal Banco di Napoli, la Banca Ravà di Firenze fu posta in liquidazione volontaria e ceduta, la Banca Federico del Vecchio, anch’essa di Firenze, fu ceduta ai figli del titolare non colpiti dalle leggi (oggi è un marchio del gruppo Ubi), la Banca Gallia di Milano fu chiusa per l’emigrazione in Svizzera dei proprietari. Guillaume Assayas, cittadino francese non espulso per ragioni di età, titolare dell’omonima ditta bancaria milanese, cessò di fatto l’attività dopo la dichiarazione di guerra della Germania alla Francia in previsione di un sequestro nel probabile caso di entrata in guerra di Mussolini a fianco di Hitler. L’ispettorato della Banca d’Italia su proposta del Governatore Vincenzo Azzolini – che fu ligio esecutore degli ordini del regime nell’applicare le leggi dentro la banca e nel mondo finanziario, con uno zelo che andò ben oltre i suoi compiti – mise in liquidazione la sua banca. Ma è il caso della ditta Vizza Ovazza di Torino che illustra bene gli effetti della persecuzione anche nei confronti di cittadini di “razza” ebraica attivi nel mondo del credito dall’Unità d’Italia e vicini al fascismo tanto da ottenere la qualifica di “discriminati”. Qui va chiarito: si chiamavano discriminati gli ebrei che potevano vantare meriti particolari verso la patria o il regime, ai quali le leggi non si applicavano. Insomma, il termine andava inteso al contrario. La storia della finanza e delle leggi razziste è ben descritta nel bel volume Storia della Banca d’Italia, tomo I, scritta dall’economista Gianni Toniolo, di recente scomparso, proprio nei giorni dell’uscita della sua opera per la collana storica di Via Nazionale e con prefazione di Ignazio Visco. Per tornare alla Vizza Ovazza, era una piccola ma stimata e solida banca torinese fondata nel 1866 che svolgeva anche intermediazione borsistica, appoggiandosi ad Alfredo Ovazza, agente di borsa e socio. Le banche allora potevano muoversi a tutto campo: nel 1934 la banca, che sin dagli anni ’20 era azionista di rilievo dell’azienda dolciaria Venchi, acquistò dall’Iri tutte le azioni dell’azienda Unica, e le fuse assieme. L’operazione fu vista bene dalla Banca d’Italia, e nel 1937 la Ovazza partecipò ad un’altra privatizzazione da parte dell’Iri. Insomma, agiva da investment banking, ma le leggi resero tutto questo impossibile. Nel novembre 1938 Alfredo Ovazza si dimise da agente di cambio e la banca via via rallentò l’attività, tanto che a fine anno iniziarono le trattative per la cessione volontaria delle quote, prima con il Banco di Napoli e poi con la banca Balbis-Guglielmone-Villa (quest’ultimo a sua volta rilevato da altri, sempre per la “difesa della razza”) interessata a entrare nella piazza di Torino. Tutto su invito dell’ispettorato della Banca d’Italia (sulla figura di Azzolini si segnala il bel libro della collana storica a cura di Alessandro Roselli, già alto dirigente di Bankitalia).
Ma le cose per gli ebrei sarebbero peggiorate ulteriormente. Il 16 marzo 1940 il ministro delle Finanze informò la Banca d’Italia che il ministero dell’Interno “presi gli ordini superiori era venuto nella determinazione di vietare l’esercizio del credito agli appartenenti alla razza ebraica anche se discriminati”. Quindi a seguito di questo fu messo in liquidazione il Banco Cambio Levi Moise Ettore di Mondovì e furono ceduti la Banca Sigismondo Mayer & C. di Firenze e il Banco Cambio Augusto Bachi di Torre Pellice. Dopo la guerra tutte le banche ripresero l’attività con nuove licenze ai vecchi proprietari o agli eredi, eccetto la Banca Ovazza, perché la famiglia non era più interessata all’attività bancaria.

Carlo Marroni, Pagine Ebraiche Gennaio 2023