Miriam Romanin Guetta (1938-2023)

In questi giorni ci ha lasciato un’altra testimone della Shoah e dei crimini del nazifascismo.
Miriam Romanin Guetta, nata a Torino nel 1938, si nascose a Milano con i genitori, dopo la cattura e la deportazione dello zio Felice Ottolenghi. Quando aveva sei anni, dal gennaio all’aprile 1945 ha vissuto la violenza nazifascista nel carcere di San Vittore, insieme ai genitori, ai nonni, alla zia e alla cugina coetanea. Nonostante l’oscurità del momento, in cui non era possibile neppure pensare al giorno dopo, non le era mancata la luce dell’educazione. A lei e alla cugina la sua mamma, Elena Ottolenghi, faceva tutti i giorni scuola e così ha potuto continuare “quella parte della prima elementare”, come era solita dire, che le ha permesso di non perdere l’anno e di rientrare alla scuola ebraica di Milano dopo la liberazione e poi a quella di Venezia con i grandi insegnamenti del Rav Elio Toaff.
La sua è stata una testimonianza di vita. La memoria come un quotidiano atto concreto di amore per il prossimo. Capace di parlare ai bambini delle scuole primarie, come agli adulti dei corsi di formazione per insegnanti, ma anche abile a dare al racconto una dimensione di positività e di serenità, perché riusciva a trasmettere, nonostante la violenza di ciò che aveva provato e visto, quella forza d’animo e quei valori che danno senso alla vita, come l’amicizia, la giustizia e il rispetto per il prossimo. Ma la sua testimonianza andava oltre la sua storia. Con la volontà di chi non vuole che ciò che è successo venga dimenticato e che non accada mai più, si era fatta carico anche della dolorosa storia della famiglia del marito Vittorio Guetta. Così ha sempre accompagnato il suo racconto con quello della uccisione da parte dei nazifascisti, nel marzo del 1944, dei cognati Alberto e Pierluigi e del loro amico Piero Viterbo.
Dai genitori Mario ed Elena Romanin, Miriam ha ereditato la bontà d’animo, il senso del dovere, il forte attaccamento alla tradizione ebraica e ai valori del sionismo. Principi e sentimenti che con amore ha trasmetto ai figli, David, Silvia, Dafne e Fabrizio, e ai suoi adorati nipoti. Coerente con i suoi principi, ha voluto trascorrere gran parte della propria vita tra l’Italia e Israele per essere vicina, in egual modo, a tutta la sua amata discendenza.
Attaccatissima alla Comunità fiorentina, per molti anni è stata morà nella scuola ebraica Nathan Cassuto e ha insegnato con intelligenza, sensibilità e grande umorismo, anche ai suoi alunni, che fino all’ultimo l’hanno accompagnata con il pensiero e con il cuore, l’amore per l’ebraismo e per Israele.
È stata la fede in HaShem, racconta la famiglia, che le ha sempre dato la forza, attraverso la preghiera, di essere vicina alle sofferenze degli altri, di affrontare i dolori della vita e di combattere fino all’ultimo contro la lunga e dolorosissima malattia.
Sia il suo ricordo di benedizione