La missione di Blinken a Gerusalemme
“Dobbiamo riportare la calma”

Prende il via in queste ore la visita del segretario di Stato Usa Antony Blinken in Israele con primo appuntamento l’incontro con il Premier Benjamin Netanyahu. Una missione, quella di Blinken, programmata da tempo, ma che arriva in un momento di grande tensione tra israeliani e palestinesi. Una tensione la Casa Bianca auspica di riuscire a smorzare. “Incoraggeremo le parti a prendere provvedimenti per calmare le acque”, ha detto il capo della diplomazia Usa dal Cairo, dove è iniziato il suo viaggio nella regione. “Non c’è dubbio che questo sia un momento molto difficile”.
Lo scontro tra le parti si è acceso dopo l’operazione antiterrorismo israeliana nel campo profughi di Jenin, a cui è seguito l’annuncio del leader palestinese di voler sospendere la cooperazione sul fronte sicurezza con Israele. Poi è arrivato il doppio attentato a Gerusalemme che, come ha detto il presidente israeliano Isaac Herzog, ha “spezzato il cuore” dell’intera nazione. Il riferimento è alla strage compiuta a inizio shabbat di fronte a una sinagoga nel quartiere di Neve Yaakov, dove un terrorista palestinese ha ucciso sette persone. Uno degli attacchi più letali degli ultimi dieci anni.
Una violenza a cui il governo di Gerusalemme ha replicato con “nuove misure di deterrenza nei confronti delle famiglie” che sostengono il terrorismo. L’annuncio è arrivato dallo stesso Netanyahu con la previsione di introdurre la revoca dei diritti di residenza a Gerusalemme e della cittadinanza israeliana a chi compie o sostiene atti di terrorismo. Tra le misure, anche la cancellazione della previdenza sociale e dei sussidi sanitari ai familiari degli attentatori e un iter più diretto per la demolizione delle abitazioni. Il governo ha poi annunciato di voler ampliare e accelerare il rilascio delle licenze per le armi da fuoco per “consentire a migliaia di cittadini in più di portare armi”. Nella stessa dichiarazione si è parlato di “misure per rafforzare gli insediamenti” in Cisgiordania. “Sebbene non cerchiamo un’escalation, siamo pronti a qualsiasi eventualità”, ha detto Netanyahu.
In questa atmosfera incandescente Blinken, come lui stesso ha annunciato, cercherà di fare da mediatore e rappresentare alle parti le posizioni di Washington. A Israele il sostegno nella lotta al terrorismo, ma allo stesso tempo la contrarietà all’espansione degli insediamenti in Cisgiordania. A Ramallah l’impegno per la soluzione dei due Stati, ma anche la richiesta di ripristinare la cooperazione con Israele.
Nell’agenda degli incontri con Netanyahu e il suo governo, scrivono poi i media americani, Blinken ha altri temi da toccare: l’invasione russa in Ucraina, le crisi in Libano e Siria e le tensioni con l’Iran. Contro quest’ultimo, secondo alcuni media internazionali, avrebbe agito da poco il Mossad, colpendo ad Isfahan un sito militare iraniano. Da Israele non sono arrivate conferme, mentre il regime sostiene che l’attacco sia fallito. Nelle analisi si parla di una guerra silenziosa tra i due paesi nemici. “La qualità dell’intelligence e la particolare capacità di operare nel cuore dell’Iran, e probabilmente sul suo territorio, sono meritevoli di apprezzamento, – scrive Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare israeliana – ma l’esperienza passata dimostra che attacchi di questo tipo hanno un importante effetto psicologico e ostacolano i progetti iraniani nel breve termine. A lungo termine però a volte accelerano effettivamente i programmi di armamento e li trasferiscono in siti sotterranei più protetti”. Yadlin si interroga sulle possibili reazioni iraniane, con il regime colpito nella notte anche nel suo distaccamento in Siria. Bisogna essere preparati, scrive l’esperto, “dal punto di vista dell’intelligence e operativo per una risposta iraniana. In mare, con il lancio di missili o droni da Siria, Libano, Iraq e Yemen. Con attacchi informatici, attaccando obiettivi israeliani ed ebraici all’estero. In alcuni casi, – aggiunge Yadlin – l’Iran ha anche fatto ricorso ad attacchi alle basi militari statunitensi, al fine di creare un cuneo tra Washington e Gerusalemme.
Questa possibilità esiste anche adesso”.