I messaggi Usa a Israele

In un Medio Oriente incandescente ieri è stato il giorno dell’incontro tra il segretario di Stato Usa Blinken e il premier israeliano Netanyahu. Tra i messaggi più “chiari” espressi dal rappresentante della Casa Bianca, riporta Repubblica, il fatto che la soluzione dei due Stati per due popoli resti “la via maestra per favorire la stabilità” e che gli Accordi di Abramo, “seppure utili e positivi”, non possano sostituirla. Per quanto riguarda la riforma del sistema giudiziario voluta dal nuovo esecutivo insediatosi a Gerusalemme, la “costruzione del consenso” sarebbe lo strumento più efficace “per fare mutamenti democratici condivisi e quindi accettati”. Quanto all’Iran, “la determinazione ad impedire che ottenga le armi nucleari resta ferma”, e si unisce – ha fatto capire Blinken – “alla volontà comune di contrastare tutte le azioni malefiche di Teheran, nella regione e fuori, a partire dagli aiuti militari offerti alla Russia”.
Oggi Blinken incontrerà Abu Mazen a Ramallah. Il dossier più urgente sul tavolo, viene spiegato, è “il ritorno al coordinamento di sicurezza fra palestinesi e israeliani”. Si tratta, ricorda Repubblica, di “un meccanismo creato per far parlare i servizi di sicurezza di Israele con quelli dell’Autorità e tenere sotto controllo i gruppi armati e gli elementi pericolosi in Cisgiordania che creano problemi”. Da qualche giorno, dopo il blitz dell’esercito israeliano a Jenin, Abu Mazen ha scelto di sospenderlo. Della soluzione dei due Stati parla anche La Stampa, evidenziando in particolare un dato: “Il sostegno sia fra i palestinesi sia nella società israeliana è sceso al 33%, ma gli Usa di Biden non vedono alternative”. È fondamentale, si aggiunge, “anche mantenere lo status quo sulla Spianata delle Moschee: un governo troppo radicale in Israele e la ripresa del terrorismo di matrice nazionalista e jihadista da parte palestinese rischiano di riportare le lancette indietro”. Secondo Il Sole 24 Ore, “da Richard Nixon in poi, la pace fra israeliani e palestinesi è un cimitero di elefanti presidenziali: un accomodamento non esiste, tutti i tentativi sono stati travolti da un’ostilità insanabile; israeliani e palestinesi per primi non sono intenzionati a cercare un compromesso”.
Un tema caldo è la minaccia nucleare iraniana. In un’analisi intitolata “La Cia, il Mossad, la regia di Bibi: i piani congiunti contro l’atomica” il Corriere prova a fare il punto sugli ultimi sviluppi. Nel ripercorrere alcune iniziative recenti in cui è ipotizzato un intervento diretto d’Israele si osserva: “La sequenza ha dimostrato come il Mossad abbia penetrato i tanti cerchi di sicurezza di un Paese in perenne stato di mobilitazione, con una pletora di apparati. Pasdaran, servizi, miliziani, ‘divisioni’ clandestine. Eppure lo scudo non ha evitato l’uccisione di scienziati e del capo del programma atomico, il furto dell’intero archivio sul nucleare, i sabotaggi in laboratori con bombe nascoste nel mobilio, virus informatici, materiale difettoso”. Come riportano vari analisti, ci sarebbe la firma di Israele anche su alcuni attacchi aerei di questi giorni. Un altro capitolo “della caccia alle armi di Teheran che gli israeliani conducono colpendo con sabotaggi e operazioni mirate le infrastrutture militari in Iran o prendendo di mira le reti di logistica e trasporto con le quali Teheran rifornisce di missili e componenti le sue milizie in Iraq, Siria e Libano” (Il Messaggero). “Lo schiaffo è potente. Probabilmente si prepara una risposta. Ma gli Ayatollah non potranno uscire dai binari senza il permesso del loro alleato, Putin, ormai il loro boss” (Il Giornale). Yossi Kuperwasser, ex generale dell’Idf e direttore generale del ministero degli Esteri israeliano e dell’unità di ricerca dell’intelligence militare, affronta con il Foglio l’ondata terroristica che ha sconvolto il Paese: “Stavolta è diversa, dura di più ed è molto più pericolosa delle precedenti, va avanti almeno da un anno ed è più profonda, anche perché non abbiamo visto azioni da parte dell’Autorità palestinese per contenere il terrorismo. Significa che non vogliono fermarlo”. Su Domani un articolo sulle proteste anti-governative che proseguono da settimane: “Avvocati, scrittori e imprenditori. La protesta contro Netanyahu unisce le anime opposte”.

Sul Giornale una intervista a Giuseppe Pecoraro, neo coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo. “C’è chi per contestarla ha tirato in ballo vicende che risalgono al suo incarico di prefetto di Roma. Il funerale di Priebke e una presunta schedatura rom”, si legge. “Non ho schedato proprio nessuno. Si trattava di stabilizzare alcuni campi, in cui vivevano persone con 6-7 alias, e in cui si riscontravano conflitti di tipo etnico. Furono gli abitanti dei campi a fornire volontariamente le loro generalità, per cogliere l’opportunità di quella regolarizzazione”, afferma l’ex prefetto della Capitale. Rispetto alle esequie del criminale nazista invece dice: “Quel funerale di Albano, ne parlerò anche in Rai, a giorni, per uno speciale di Ezio Mauro, è il contrario di ciò che affermano. Ad Albano ci fu il rito funebre, perché gli unici che si erano offerti erano della comunità dei lefevriani”. Pecoraro annuncia prossimi incontri con chi l’ha preceduto nell’incarico, Milena Santerini, e con la comunità ebraica, “dopo un passaggio con la presidenza del Consiglio”. L’antisemitismo, sostiene, “sta dappertutto, non lo qualificherei: gli antisemiti non sono degni di chiamarsi di destra o sinistra, sono delinquenti che non appartengono ad alcun partito o organizzazione pseudoculturale”.

Al Memoriale della Shoah di Milano si è svolta ieri una cerimonia in ricordo della deportazione degli ebrei milanesi, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con la Comunità ebraica cittadina e il Memoriale stesso. Massima attenzione alle parole di Liliana Segre, che il 30 gennaio di 78 anni fa da qui fu inviata ad Auschwitz insieme al padre Alberto. “Quando vedo che questo luogo è frequentato soprattutto da ragazzi meravigliosi, che vengono in questo luogo straordinario che è la biblioteca, è il segno che nella cultura e nella lettura c’è la speranza. La salvezza è nel libro” il suo messaggio ai giovani, riportato in vari articoli di cronaca. Su La Stampa, Corriere Milano e Repubblica Milano anche le parole del presidente del Memoriale Roberto Jarach (“Siamo al traguardo dei 50mila studenti in visita in un solo anno scolastico. Merito di Liliana che ricorda ogni volta, anche al sindaco, il dovere di fare di più perché sia conosciuto”) e del rabbino capo rav Alfonso Arbib. “Ricordo – il suo pensiero – che quella tragedia continua ad esserci, il popolo ebraico è vivo, ricordare significa identificarsi con la sofferenza, ma anche rispettare e dare la possibilità di preservare il popolo ebraico per quel che è oggi con la sua identità storica, politica e religiosa”.

“Mi sbaglierò, ma non mi risultano eclatanti discorsi né molte interessanti e visibili iniziative riguardo ai 23.826 deportati politici italiani di cui 10.129 uccisi nei campi, né riguardo ai 600.000 militari del regio esercito di cui 37.550 uccisi. È rimasta la memoria della Shoah, ma come? A parte i superstiti, i testimoni, i pochi martiri ancora vivi, cosa ci ha consegnato di feconda, vitale verità questo giorno?”. A porsi questa domanda, in una lettera aperta sul Giorno della Memoria a Liliana Segre, è lo scrittore Maurizio Maggiani (La Stampa). L’autore scrive che “se la memoria non si può imporre, non la si può neppure istituzionalizzare senza che si dissangui della sua verità, senza che si faccia memoria selettiva; anche al di là delle intenzioni, delle buone intenzioni, per la semplice ragione che è nella natura stessa delle istituzioni la selettività, le istituzioni scelgono. E la combinazione di istituzione e nascondiglio, o quando addirittura l’istituzione si fa nascondiglio, è esiziale, mortale”. Nel merito Maggiani contesta alla premier Meloni di non aver usato la parola fascismo: “Possiamo in coscienza anche solo immaginare l’affermarsi del nazionalsocialismo senza che ci fosse stata la marcia su Roma? Adolf Hitler pensava di no”.

Ernesto Galli della Loggia, sulla prima del Corriere, parla di messaggio della Chiesa in arretramento in Europa. La sua analisi parte dal dopoguerra. “Il fatto che per la prima volta dei partiti cattolici fossero al governo in Germania, in Austria e in Italia – si legge – si rivelò rapidamente non tanto la premessa per la nascita di quella ‘società cristiana’ vagheggiata da Maritain bensì solo l’inizio di una rapida ricostruzione di segno capitalistico americano all’insegna del consumismo e dell’individualismo. A radicare questa immagine dell’Europa come un’entità politica ormai fuori gioco, e per giunta moralmente macchiata dalle responsabilità nell’Olocausto, si aggiunse infine negli anni Cinquanta del Novecento una serie di fatti”. Innanzitutto, sostiene il noto editorialista, “la crescente importanza sulla scena mondiale degli Stati africani e asiatici neo-indipendenti, tutti invariabilmente di orientamento socialista, poi l’ascesa ideologica del terzomondismo, il rafforzamento e la stabilizzazilone dell’egemonia mondiale russo-americana apparentemente definitiva e orientata ormai alla coesistenza; da ultimo il proliferare delle più varie organizzazioni multilaterali in genere sotto l’egida ancora prestigiosa delle Nazioni Unite”.

Il Secolo XIX intervista Yael Artom, scrittrice esordiente con un’identità sia italiana che israeliana: “Sono nata a Gerusalemme, da due genitori italiani che si erano conosciuti in un kibbutz nel sud di Israele: Yad-Hannah. Mio padre faceva lì il volontario, mia madre, genovese trasferita a Gerusalemme, era andata in visita da alcuni parenti. Quando avevo sette anni siamo venuti in Italia, per i primi sei mesi a Roma e poi a Genova”.

Just a girl, la versione americana di Una bambina e basta raccontata agli altri bambini e basta di Lia Levi, si è aggiudicata il premio Mildred L. Batchelder della American Library Association. Ne scrive il Corriere, sottolineando che Una bambina e basta – il suo primo libro – “era uscito nel 1994 per edizioni e/o”, mentre nel 2020 “è arrivata la versione per ragazzi per HarperCollins Italia, dopo anni di incontri nelle scuole”.

Un prof negazionista ha interrotto a Milano una performance teatrale dedicata alla Shoah, sostenendo che i numeri forniti sullo sterminio fossero “gonfiati” e lo spettacolo un atto ideologico. I colleghi del professore hanno denunciato l’accaduto “alla dirigente, che si è scusata con gli attori dell’accaduto” (Corriere).

Adam Smulevich

(31 gennaio 2023)