La polveriera Jenin
Uno dei luoghi dove è più grave lo scontro tra israeliani e palestinesi è il campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania. Da qui sono arrivati diversi terroristi che hanno colpito in questi anni la società israeliana e qui sono intervenute le forze di sicurezza la scorsa settimana in un’azione contro la Jihad islamica. A farne una ricostruzione oggi, l’inviato di Repubblica Daniele Raineri. Dal reportage emerge come l’atmosfera a Jenin – e non solo – rischia di aprire una nuova fase di violenza con i giovani palestinesi coinvolti nello scontro. A confermarlo a Repubblica anche uno dei vertici del terrorismo palestinese in Cisgiordania, il capo delle Brigate dei martiri di al Aqsa nel nord dei territori, Abu Wahed. “Dopo venticinque anni di negoziati inutili, (i giovani) hanno capito che la terra ci sarà restituita soltanto con i combattimenti e con il sangue”, afferma l’uomo. E aggiunge: “La situazione peggiora ogni giorno, è chiaro che gli scontri aumenteranno”.
La posizione Usa. Intanto il segretario di Stato Usa Antony Blinken, dopo aver incontrato i vertici israeliani, si è recato a Ramallah dove ha incontrato ieri il leader palestinese Mahmoud Abbas. Nel corso del colloquio, Blinken ha annunciato che gli Stati Uniti daranno altri 50 milioni di dollari all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Ha poi ribadito il sostegno dell’amministrazione Biden alla soluzione dei “due Stati”. Soluzione che Abbas accusa però Israele di minare, “con l’espansione degli insediamenti, l’esproprio di terre, la violenza dei coloni, i raid e le demolizioni”. A riguardo il segretario Usa, come segnala La Stampa, ha affermato che gli Stati Uniti si oppongono ad ogni “azione unilaterale” delle due parti che rappresenti un ostacolo alla soluzione dei due Stati e questo “include l’estensione degli insediamenti, la demolizione delle case e la violazione dello status quo nei luoghi santi”.
Nevo e la politica israeliana. “Ero un soldato negli anni della prima intifada e no, non provo pietà per chi ammazza gente innocente. Anche in condizioni di debolezza la minoranza ha la possibilità di scegliere una strada diversa dal sangue”, afferma a La Stampa lo scrittore israeliano Eshkol Nevo in merito ai nuovi attacchi di terrorismo palestinese. Dall’altra parte nell’intervista Nevo, che da settimane partecipa alle manifestazioni contro la riforma della giustizia pianificata dal governo Netanyahu, definisce l’esecutivo come “tragicamente” privo di “leader equilibrati”. “L’estrema destra israeliana – afferma – tiene le redini del conflitto senza avere la capacità di controllarlo. Sono spaventato. Chi come me è stato nell’esercito conosce la legge del compromesso, la guerra si combatte con responsabilità e senso del limite. Ma questo governo è composto da ministri razzisti e ultraortodossi che avendo evitato il servizio militare ignorano i concetti di negoziato e de-escalation. È un momento molto pericoloso, in ballo non c’è la contrapposizione tra destra e sinistra ma i principi democratici alla base dello Stato d’Israele”. Per lo scrittore dovrebbero essere gli Stati Uniti a presentarsi come mediatore. “Ma vorrei anche che facessero pressione sul mio governo affinché non mini la natura democratica d’Israele: devono farlo adesso, prima che sia troppo tardi”.
Il docente negazionista. Un provvedimento disciplinare è quanto rischia il professore dell’Itis Curie Sraffa di Milano per aver interrotto uno spettacolo sulla Shoah a teatro con frasi negazioniste. Sul caso è intervenuto anche il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Così scrive La Stampa: “sollecitato per tutto il giorno dall’opposizione, ieri sera il ministro ha chiarito la sua posizione. ‘Non può insegnare. Il negazionismo dell’Olocausto è incompatibile con qualsiasi ruolo pubblico, ancora peggio nei luoghi deputati all’educazione dei giovani’”. Repubblica scrive che il professore in questione “non pare intenzionato a tornare sui suoi passi. La Shoah, dice intercettato ieri da Repubblica nella scuola dove insegna, ‘è un argomento top secret dal 1944’. Dai suoi studenti – prosegue Repubblica – arrivano giudizi tranchant su un professore dalle posizioni No Vax, e che in alcuni casi esprimono ostilità verso l’ebraismo”. La Stampa riporta come i suoi profili online siano “pieni di frasi filo-putiniane e di post contro i vaccini e contro le adozioni gay. Ma ci sono pure foto che lo ritraggono a eventi di FdI (in un paio accanto a Giorgia Meloni e Ignazio La Russa) anche se prima del voto ha dichiarato di sostenere ‘Italia sovrana e popolare’”.
Torino, la polemica sull’acqua. Iren, società partecipata dal Comune di Torino, ha siglato poche settimane fa un accordo con la società idrica israeliana Mekorot. L’intesa è stata attaccata dalla consigliera di Sinistra ecologista, Alice Ravinale, che accusa Mekorot di avere “un ruolo determinante nel limitare l’accesso della popolazione palestinese all’acqua potabile e pulita”. “Torino è anche gemellata con Gaza – ha proseguito Ravinale – e confido che la città, da sempre impegnata nella cooperazione nei territori palestinesi occupati, saprà far prevalere anche all’interno di Iren il rispetto dei diritti umani rispetto alle logiche commerciali”. Repubblica Torino segnala che ad essere d’accordo con Ravinale è anche la capogruppo in Consiglio comunale del Pd, Nadia Conticelli. Iren, spiega il quotidiano, ha replicato, specificando che l’accordo con Mekorot è solo volto allo scambio di know how, in quanto si tratta della più grande realtà mondiale nella gestione dell’acqua.
Musica e Memoria. Fania Fenélon, pianista, compositrice e cantante francese, partecipò alla Resistenza del suo paese fino al 1940, anno della sua deportazione ad Auschwitz. Qui e poi nel lager di Bergen-Belsen fu parte dell’orchestra femminile. Questo fino al 1945, anno della liberazione. “Nonostante i suoi 29 chili e il tifo che la stava divorando, Fenélon cantò per la Bbc in occasione dell’arrivo delle truppe britanniche sul luogo delle stragi”, riporta oggi Repubblica Genova, presentando l’iniziativa a lei dedicata al Museo dell’Emigrazione della città.
Segnalibro. In libreria è uscito il romanzo Un ebreo in camicia nera (Solferino) del giornalista Paolo Salom. Come racconta al Corriere Torino l’autore i fatti essenziali del libro sono però veri. “Vero è che mio nonno convertì tutti nel 1938, che mio padre scappò dal rifugio dov’era con la famiglia e che fu l’unico a salvarsi, che fuggiva verso la Svizzera per espatriare e venne intercettato dai fascisti, che indossò la camicia nera e con le truppe arrivò fino alla Linea Gotica, che tornò a casa a piedi alla fine della Guerra. E si salvi chi può”. L’autore presenterà oggi al Circolo dei lettori di Torino il libro.
Daniel Reichel