Un canto per l’eternità
“Az iashir Moshé uvné Israel et ha shirà ha zot lA’ – Dunque canterà Moshé e i figli di Israel questa cantica al Signore” (Shemot 15;1).
Nella nostra parashà la Torà ci narra dell’uscita del popolo ebraico dall’Egitto e il miracoloso passaggio del Mar dei Giunchi (Mar Rosso) all’asciutto. Dopo aver assistito al miracoloso evento, Moshé con i figli di Israel e Miriam con le figlie di Israel intonano una cantica di ringraziamento al Signore per avere operato un simile evento. Fanno notare i commentatori che la shirà di Moshé inizia con l’espressione del verbo al futuro “iashir – canterà” e non “shar – cantò”.
Nel commentare il versetto precedente “ed ebbero fiducia nel Signore e in Moshé suo servo” (Shemot 14;31) i chakhamim fanno notare che l’elemento necessario e fondamentale per una traversata così miracolosa è la fede in D-o, che li porterà alla condizione di nevuà.
Infatti la nevuà che investe il popolo scaturisce dalla fiducia, sia in D-o che in Moshé Suo profeta.
Fanno notare i maestri che la profezia è nella coniugazione del verbo “iashir – canterà” al futuro: i figli di Israel che all’epoca ebbero fiducia nel Signore e in Moshé come Suo profeta continueranno a cantare questa shirà nell’eternità.
Infatti, ogni mattina, gli ebrei cantano nella loro tefillà la shirat ha iam – la cantica del mare come se, di giorno in giorno giorno, si rinnovasse quell’evento. Grazie ad esso si rinnova la fiducia in D-o e in Moshé.
Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Venezia
(3 febbraio 2023)