Marina Piperno, una vita per il cinema

È il 1961 quando Marina Piperno fa il suo esordio come produttrice cinematografica con un cortometraggio intitolato “16 ottobre 1943”: opera che subito risalta all’attenzione, squarciando una parte degli imbarazzati silenzi che ostacolavano allora il racconto della Shoah italiana e delle sue responsabilità. Sarà l’inizio di una carriera ad alti livelli, dai documentari ai film di fiction, con incursioni in molti contesti e mondi. Ad attestarlo, tra tanti riconoscimenti, il Nastro d’argento conferitole nel 2011.
Una vita d’impegno e passioni che Piperno ripercorre nella sua autobiografia “Eppure qualcosa ho visto sotto il sole”, scritta insieme a Luigi Monardo Faccini e pubblicata dall’editore All Around. Nel libro – che sarà presentato a Roma il 28 febbraio alle 18, alla Fondazione per il giornalismo Paolo Murialdi – si interrogano gli immensi archivi fotografici familiari “per ricavarne storia, identità, costrizioni, fortune e sofferenze” di una vicenda ebraico-diasporica peculiare, riflettendo inoltre sul senso di una vita e di un percorso che l’ha portata a scelte di cui resta una traccia forte nel presente. Un cinema di qualità, “per dare voce a chi ne era privo”. Si chiede Piperno se sia valsa la pena entrare nel “labirinto” che è quest’arte. Il suo libro, frutto di tre anni di lavoro, intende rispondere al quesito. Dice al riguardo: “Leggetelo come un viaggio illuminato dai sogni, leggetelo come un epistolario amoroso rivolto a moltitudini sconosciute, leggetelo come un romanzo storico, leggetelo come la partita a scacchi che le utopie perdono dopo averla dominata, leggetelo come un intreccio di passioni che, a volte, hanno trovato un approdo salvifico, leggetelo come desiderate, senza perdere di vista i sentimenti con i quali è intessuto. Ci troverete le vittorie e le sconfitte individuali, ci troverete l’Italia. Ci troverete l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione, ci troverete la tenacia del lavoro. Ci troverete l’amore per ‘l’altro’, ci troverete una speranza…”. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un brano dal libro, relativo alle prime passioni giovanili per il grande cinema:
Mostra di Venezia 1951, un magnifico programma: Elia Kazan, Billy Wilder, Bresson, Renoir, il giapponese Kurosawa, perfino Orson Welles, nomi mitici che avevo già incontrato nelle proiezioni del Charlie Chaplin di Roma, nel buio animato di apparizioni che conciliavano i miei desideri con un futuro ancora nebuloso. Per guarire dalla lunga prigionia salvifica nel convento delle betlemite non erano bastati i sorrisi smaglianti dei soldati americani dai loro camion e nella grandine di cioccolatini. Non avevo espulso il nome falso che mi avevano attribuito e non mi conciliavo con le promesse incomprensibili della realtà quotidiana in cui ero chiamata a vivere. Ero entusiasta delle escursioni dolomitiche che mio padre consentiva, ma non rasserenata. Azzardavo, nelle salite più aspre, per immergermi nel cielo terso, di cui desideravo essere parte. Godevo di privilegi, stando lassù, di cui avrei dovuto vergognarmi in quegli anni di miseria e fatica per la gente che ricostruiva il paese da poco tornato ad essere anche il nostro. Ero lì e volevo essere altrove.
Dove? Non in famiglia, la cui protezione mi soffocava. In mezzo alla gente di cui avevo curiosità! Ma non ero ancora indipendente e avrei ferito mortalmente mio padre se gli avessi proposto una libertà che avrebbe vissuto come un distacco doloroso e prematuro. Capace di apprezzarlo ma soffrendo nello scoraggiare la mia richiesta. E siamo appunto nell’estate del 1951, quando a Venezia, dal 20 agosto al 10 settembre, avrebbero proiettato tutta quella grazia di Dio. Chiesi a mio padre di consentirmi quel viaggio. Da sola? Hai sedici anni bimba! Non hai qualcuno di cui possa fidarmi che ti accompagnerebbe? Io scossi la testa negativamente e gli lanciai il sorriso più accattivante di cui ero capace. Mio padre amava il cinema e conosceva la potenza dei suoi segnali, più etici che estetici, per la verità. Era orgoglioso di aver messo dei soldi nel film di Mario Camerini Due lettere anonime, che raccontava una storia importante per quei tempi di riscossa antifascista e rinascita del cinema italiano attraverso il neorealismo. Mi accarezzò una guancia con il dorso villoso della sua manona da rematore. Scommetto che con me non ci verresti! Disse. Dovrei pensarci, risposi.
Ci guardammo attentamente, senza battere ciglio. Ci conoscevamo bene io e lui, ci capivamo profondamente, non potevo che perdere la mia prima Venezia da apprendista stregone, perché di cinema già scrivevo pestando sulla testiera della nera Olivetti M40 che troneggiava sulla sua scrivania. Divoravo film e li schedavo con piglio saccente, martirizzando gli amici più stretti, ad alta voce, con elaborati che sbriciolavano opere e talenti. Mi ribattezzarono “la critichessa” e quel soprannome un po’ mi piaceva un po’ mi indusse a mitigare i giudizi e a raffinare le analisi formali dopo l’ordinato riassunto delle trame. Il divieto di mio padre me l’ero guadagnato sul campo, anche se lui non aveva dato peso alle chiacchiere sul mio conto. Sembra che io dessi scandalo, in quel di Anzio, tra lungomare e spiagge, portando la camicia annodata sopra l’ombelico. Risi, un attimo sguaiata, quando me lo disse. Regalami una perla, vera, così copro la nudità che li turba! Anche mio padre rise, come faceva lui, a bocca spalancata, senza suono, ma con un gorgoglio che mi pareva musica.
Imbecilli! Dissi. Lui non approvò l’insulto. Conosceva i suoi polli e sapeva con quale becchime tacitarli: un po’ minimizzando un po’ rivendicando il valore educativo delle libertà controllate che mi concedeva. D’altro canto piantavo gli occhi sulla gente, ne studiavo gli atteggiamenti e le movenze, a volte oltre il lecito, desiderando di essere a mia volta osservata e apprezzata.
Marina Piperno
(Il libro sarà presentato martedì 28 febbraio alle 18 alla Fondazione per il giornalismo Paolo Murialdi: insieme agli autori interverranno il presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma Mario Venezia, il regista e autore Vittorio Pavoncello, il giornalista e critico cinematografico Giorgio Gosetti, l’autore e critico cinematografico Piero Spila, il programmer della Cineteca Nazionale Domenico Monetti)