Le tre chimere di Amitai Romm

Amitai Romm è nato nel 1985 a Gerusalemme e attualmente abita e lavora in Danimarca. La sua ricerca artistica ruota attorno all’ibridazione tra la natura e l’artificio della tecnologia, mediata dalla scienza. E con questo, tesa tra la vita vegetale e i sensori, i processi di raccolta dei dati speculando sulla percezione di questo scontro-incontro. In una sua prima mostra fiorentina, tenutasi alla galleria Veda due anni fa, Romm ha installato una piccola pompa di aspirazione, collegata a un foglio di PVC posto al centro dello spazio della galleria, in vetrina, verso la strada. Il vuoto tra le due superfici teneva fermo, sospeso, un etrog (cedro) fatto arrivare dalla Calabria con Casherut le-mehadrin, all’interno di un involucro senza spazio o aria. In quella intersezione, che pareva un dispositivo ospedaliero, le componenti erano sottoposte a una tensione: ciò che è mostrato incontra l’occhio.
Nella nuova mostra in corso, nell’ampio spazio della stessa galleria che nel frattempo ha traslocato dal centro storico alla cittadella della cultura all’ex Manifattura Tabacchi, Amitai istalla, appende sulle pareti dell’ambiente, delle suggestive opere che sfidano lo spettatore a una propria interpretazione. Con questo non sfugge la componente organica, realizzata mediante una “suggestione tecnologica” di una colonna vertebrale che si trova nelle tre opere esposte. Il riferimento antropomorfo è evidente anche nei due lobi laterali aggiunti, i quali nel contempo ricordano una antenna parabolica capace di captare onde di ritorno. Da vicino uno scopre la matrice dello “scudo” – realizzato da una rete, gabbia in stampa 3D – contenente un substrato vegetale di bosco raccolto minuziosamente dall’artista, stretta in quella maglia. Tecnologia e natura nuovamente si completano acquistando le stesse sembianze di quello che in un’altra opera – stessa forma, in lamiera di rame – è tirato a lucido come se fosse un prezioso gioiello. Nella città che ospita la Chimera di Arezzo, le tre chimere di Amitai Romm guadagnano di suggestione per immancabile collegamento al fantastico che non vorremmo confinare banalmente all’illusorio.
In mostra le tre sculture sono accompagnate da alcuni lavori minuti su carta, realizzati con il mezzo della fotografia. Sono lì per essere meditati uno per uno, da vicino. Hanno, oltre al valore proprio, una funzione nell’insieme di “pausa”. Di introversione dei pensieri.
David Palterer