Viaggiare, fuori dal ghetto
Prossimamente gli Uffizi dedicheranno una mostra, che si annuncia molto significativa, al rapporto che vi fu tra il mondo ebraico e la famiglia dei Medici a lungo egemone a Firenze e sulla Toscana. Anche nel segno di alcune scoperte che hanno fatto clamore: come l’esistenza nel Seicento di un pittore ebreo alla loro corte, Jona Ostiglio. Una vicenda documentata di recente dall’ebraista Piergabriele Mancuso e dalla storica dell’arte e funzionaria del museo Maria Sframeli. “Un caso unico nella storia dell’arte”, si è sottolineato nel condividerla pubblicamente. Un posto di rilievo, nella mostra in preparazione, lo avrà anche un’altra storia.
Quella che ha per protagonista Moisé Vita Cafsuto, che molto viaggiò nel mondo e scrisse dei suoi incontri con alcuni protagonisti della vita politica, culturale e religiosa. Una testimonianza eccezionale sulla quale si sofferma Asher Salah, storico dell’ebraismo italiano e specialista in particolare del periodo dei Lumi e dell’emancipazione, nell’ultimo libro da lui curato: Il mondo fuori dal ghetto. I viaggi di Moise Vita Cafsuto, gioielliere dei Medici (ed. Paideia).
Cosa sappiamo della vita di Moisé Vita Cafsuto?
Pur non essendo certi dei suoi estremi biografici – nacque probabilmente nel 1690 e mori in età avanzata intorno al 1780 – siamo invece piuttosto ben informati sulle attività di Cafsuto grazie alla straordinaria messe di documenti che lo riguardano all’archivio di Stato di Firenze e in quello della comunità ebraica fiorentina. Egli appartiene a una famiglia ben inserita nella capitale medicea sin dalla fine del Cinquecento, fra le più agiate della locale comunità levantina e impegnata da varie generazioni nel commercio di pietre preziose. Cafsuto ricoprì le più importanti cariche amministrative e rappresentative della comunità di Firenze, di cui fu a più riprese massaro e consigliere. Effettuò importanti missioni diplomatiche per conto dei Medici e si trovò coinvolto nel tentativo, poi fallito, di vendere uno dei più grossi diamanti mai visti in Europa. Cafsuto è un affascinante rappresentante del primo illuminismo europeo. Pur essendo strettamente osservante – oggi si direbbe ortodosso – dall’altro si muove con totale disinvoltura negli ambienti culturali più diversi, ebraici e non, dimostrando uno spirito moderatamente scettico, aguzzato da un forte relativismo culturale che lo rende estraneo ad ogni forma di dogmatismo religioso, quello ebraico incluso, propenso invece a una concezione della tolleranza universale di stampo lockiano e curioso del modello associativo non confessionale offerto dalla massoneria inglese. Simpatizzante di regimi politici liberali, come quello parlamentare inglese e repubblicano olandese, Cafsuto è un uomo animato da una gran fiducia nelle possibilità dell’ingegno umano di apportare un progresso scientifico e morale alle nazioni, sulla base della fondamentale uguaglianza tra le genti di ogni ceto e di ogni fede.
Attraverso le sue vicende, emerge un’immagine ben diversa di quanto generalmente ammesso della vivacità della vita culturale in un ghetto di media importanza come quello di Firenze. Al di là della povertà diffusa e delle ben note politiche vessatorie a cui erano esposti gli ebrei, non vi mancarono infatti notevoli stimoli culturali e intense furono gli scambi con l’esterno e le relazioni con le élites politiche cittadine, prima con gli ultimi granduchi de Medici e poi con il casato dei Lorena.
In che cosa i due diari scritti da Moise Vita Cafsuto si distinguono da altre relazioni di viaggio coeve?
La letteratura degli ebrei della prima età moderna – un periodo che va grosso modo dal Rinascimento alla Rivoluzione francese – presenta vari esempi di relazioni di viaggio, prevalentemente dedicate alla descrizione di pellegrinaggi in Terra d’Israele. I viaggi narrati nei due diari del gioielliere fiorentino Cafsuto (il primo effettuato tra il 1733 e il 1735, il secondo tra il 1741 e il 1743) rappresentano un unicum nelle lettere ebraiche del tempo per almeno quattro motivi. Innanzitutto, l’autore fa una scelta in netta rottura con la tradizione decidendo di stendere i suoi diari in italiano quando ancora l’ebraico era la principale lingua usata nella produzione culturale degli ebrei italiani. Cafsuto preferisce invece esprimersi facendo ricorso a una lingua toscana di registro colloquiale, pur dimostrando la sua dimestichezza con le convenzioni retoriche proprie ai migliori testi letterari dell’epoca, al fine di rendere accessibile il suo testo a una cerchia di lettori più ampia di quella costituita dai soli eruditi della comunità. In secondo luogo, la durata – egli si assentò da Firenze per oltre tre anni – e l’estensione geografica dei suoi viaggi, che lo portarono ad attraversare tutto il Medio Oriente sotto dominio ottomano, oltre che numerosi Stati dell’Europa centrale e settentrionale, sono eccezionali anche in rapporto ad analoghe opere in ambito cristiano. La terza caratteristica che rende l’opera di Cafsuto affine per qualità letteraria e spirito di osservazione alle descrizioni dei primi “grand tours”, è la grande attenzione dedicata a ogni tipo di informazioni, commerciali, religiose, politiche e sociali su luoghi e popoli in una prospettiva cosmopolita, non esclusivamente attenta alla condizione degli ebrei, e con una grande sensibilità e tolleranza nei confronti della diversità umana. Infine, la testimonianza di Cafsuto ci apre uno spiraglio sulla mentalità di un grande mercante ebreo di Firenze, sui suoi sentimenti, sulla sua pratica religiosa, sulle sue opinioni sull’Europa del secolo dei Lumi e sulle varie culture e popoli del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Egli fu insomma un vero e proprio ‘ebreo di corte’, figura che esisteva anche in Italia, per quanto in genere ancora poco nota e studiata.
Emoziona la avvincente capacità comunicativa di questo personaggio su cui sino ad ora poco si sapeva.
Indubbiamente, Cafsuto aveva un grande talento di scrittore che si ispira non al sentito dire ma al proprio vissuto.
I diari di Cafsuto offrono uno spaccato della vita quotidiana nelle grandi corti europee e ottomane, attraverso una ricchissima galleria di personaggi con cui egli fu in relazione personale. Sugli oltre mille nomi di luoghi e di persone che Cafsuto menziona, troviamo Cafsuto in conversazione con Federico II di Prussia, con Luigi XV, con Augusto III re di Polonia, oltre che con il medico del sultano turco, Daniel de Fonseca amico di Voltaire, con l’astronomo Edmond Halley (quello a cui è intitolata la celebre cometa), col compositore Carl Heinrich Graun, Kapellmeister di Federico II e che Cafsuto frequentava fin dagli anni in cui questi soggiornava a Firenze. Su tutti ha da dire una parola, da registrare un aneddoto, da rammentare un colloquio.
Non l’unico in famiglia…
In effetti, non bisogna dimenticare che la moglie, la genovese Rachele Coen Del Medico, doveva essere una donna non sprovvista di notevoli doti intellettuali. Di lei ci resta purtroppo solo la lettera in cui ringrazia il marito per averle dedicato i diari a mo’ di riparazione per la prolungata assenza da Firenze. Da questa epistola, si può apprezzare la sua padronanza delle convenzioni retoriche in un italiano letterario di gran pregio, a volte persino superiore a quello del marito che indulge invece in toscanismi. È il segno questo di una cultura femminile ebraica prima dell’emancipazione di cui poco ancora sappiamo. D’altronde, alla questione femminile si dimostra molto interessato lo stesso Moise Vita Cafsuto, sempre attento alla condizione delle donne nel suo girovagare per le strade d’Europa e del Oriente. Gli Stati che più gli piacciono, e lo dice a chiare lettere, sono quelli in cui le donne hanno più diritti e maggiori possibilità professionali. Per questo la maggiore libertà, anche sessuale, delle donne dei Paesi del Nord lo colpisce favorevolmente non meno della maggior tolleranza di cui beneficiano gli ebrei in Inghilterra e in Olanda, rispetto all’Italia.
Un tema molto interessante che emerge dalla lettura dei diari è anche il modo in cui egli vive il suo ebraismo.
Cafsuto fu un uomo animato da una profonda fede messianica. Una delle ragioni che lo spinsero ad intraprendere il viaggio verso Oriente fu infatti il desiderio di portarvi il figlio unico, all’epoca di appena tre anni, affinché studiasse in una Yeshiva di Hebron e che la Terra di Israele non mancasse di un rappresentante della famiglia Cafsuto qualora iniziasse la redenzione, allora attesa in molti ambienti ebraici come imminente. Egli introdusse a Firenze molte pratiche mistiche e mantenne contatti costanti con inviati di Terra Santa che visitavano le comunità europee per raccogliere fondi per le loro istituzioni religiose. Tuttavia, anche in questo caso, Cafsuto si dimostra degno figlio di Firenze. Così, a Damasco, di fronte alla pratica di vari membri della comunità di digiunare una volta all’anno per una settimana intera, da un sabato all’altro, Cafsuto non può fare a meno di trattenere il suo spirito mordace e osserva che ci dovessero essere “inormi peccati in questa città che richiedevano una così grande penitenza”.
Adam Smulevich
Cafsuto e l’incontro con Federico II
Molti incontri straordinari incontri segnano le pagine del diario di Cafsuto. Di seguito la sua testimonianza relativa a Federico II re di Prussia:
Detto monarca il suo dormire è di tre e quattro ore vol saper tutto ed esser informato di tutto, sente tutti e risolve poi da sé come gli pare. Si leva la mattina aventi giorno e si mette a leggere le lettere e memoriali poi da udienza a suoi ministri e poi ai ministri e ambasciatori delle corti straniere. Dopo di che va all’esercizio militare e finito questo dove assiste di persona se ne torna a desinare e dopo il desinare si mette a leggere libri di guerre che gusta assai ed al tardi va a dar una volta a cavallo e quando torno si mette a suonare il flauto traverso e la sera alquanta musica, ma come ho già detto non sta in Berlino sei mesi all’anno perché da per se va alle reviste nell’elettorato e nel regno e paesi di conquista.
Chi non ha pratica del suo personale difficilmente lo conoscerebbe perché per il più si mette l’uniforme e s’intruppa con gl’altri al simile e nemmeno si può distinguere intieramente mediante una certa croce bianca nel petto adorna di raggi perché i fratelli ed alcuni generali che l’hanno simile.
Non dovevo fermarmi in questa città e far di esse tanta digressione ma avendoci ritrovato il re m’ha obbligato a discorrerne e dir qualcosa anche quello [che] non è preciso dell’istessa città. Ebbi l’onore di inchinarmi a Sua Maestà in congiontura d’offerirgli in vendita una gran gioia benché sapevo bene che lui non inclina che a cose appartenenti al militare.
Esso m’accolse volontieri e vedde la gioia attentamente e parlo di esse e d’altre cose ben per spazio di tre ottavi d’ora in lingua italiana che s’intendeva recipientemente e dopo vari discorsi levò fuori la tabacchiera del tabacco che me lo diede a gustare e dimandomi se l’ho trovato buono. Gli dissi che era buono assai come in effetto l’era e ricercandomi se avevo tabacchiera giusto me ne trovavo anche una assai bella che volse lui con le proprie mani empierla e ben pigiarla da un vaso che aveva poco distante onde lo riguardai per reliquia e mi durò quasi un anno perché per reliquia ne davo una presa a qualche amico. Mi disse che ci rivedremo a Berlino ma io che sapevo che per sette o otto giorni non ci sarebbe andato gli risposi che i miei affari non permettevano trattenermi quando non fosse stato che per ubbidirlo ed egli soggiunse che lo diceva a motivo solamente ch’io vedessi l’opera in musica che si doveva recitare da miei musici italiani e che m’augurava felice viaggio e così a forza di riverenze fino in terra me n’uscii.
Vi si conosce l’inclinazione di guerriero e si vede che applica per vincere ma considero che tutte le spade bucano e che si cammina secondo i passi più o meno vantaggiosi e secondo le congionture e soprattutto la volontà celeste è quella che domina e dispone.
Questa casa considero che sia molto antica e che dipenda dalla descendenza di Esau fratello di Jacob figli del padre Isache e che si confermi nella medesima la benedizione che gli restava da dare e che diede a Isache al figlio Esau come dice il testo e sopra la spada tua viverai che tanto gli restò dopo d’aver disposto a favore del figlio Jacob tutto il bisognevole dei beni temporali e spirituali onde se ciò fosse potrei chiamarmi per conseguenza parente come lui discendente di Esau ed io di Jacob che erano fratelli e se poi anderemo un poco più addietro troveremo Noè e Adamo dai quali siamo usciti tutti, senza pigliare gli spicchi di croce con i quali tanto moderni che sono si pretende far con essi la nobiltà tutte cose al concetto mio favolose perché la nobiltà deve dipendere dall’azioni come il galantuomo per galantuomo e così il virtuoso e poi tutto il resto sono bubbole.
Moisé Vita Cafsuto