La tragedia e i soccorsi

Ad aprire le prime pagine dei quotidiani, l’interrogativo su cosa si sarebbe potuto fare per evitare la strage sulle coste calabresi, dove 66 persone hanno perso la vita a causa di un naufragio. “C’è un’indagine in corso alla quale nessuno si sottrae e io non mi sottrarrò per quelle che saranno le cose che si riveleranno”, ha dichiarato il ministro dell’Interno Piantedosi. E, riporta il Corriere, aggiunge di non credere che “ci sia stato alcun ritardo. Non ho alcun motivo per credere a errori o sottovalutazioni perché so come operano i nostri soccorritori”. La barca, ha aggiunto il ministro intervenendo al Senato, “non ha chiesto aiuto”. In mattinata, scrive ancora il Corriere, già il ministro dei Trasporti Matteo Salvini aveva espresso la sua “solidarietà alle donne e agli uomini della Guardia costiera, che fanno sforzi immani per salvare vite e contrastare i trafficanti di esseri umani”. Aggiungendo che “chi osa metterne in dubbio l’impegno, lo sforzo e la straordinaria professionalità ne risponderà nelle sedi opportune”.
A Repubblica il procuratore di Crotone Giuseppe Capoccia afferma che “nessuno ha mai dichiarato un evento Sar (Search and Rescue) per questo barcone e quindi non è mai partita un’operazione di ricerca e soccorso. Ricostruiremo tutto ma mi fa rabbia, come padre di famiglia, come cittadino, pensare che forse qualcosa si poteva fare per salvare quelle persone”. Il quotidiano apre con un titolo molto duro: “Nessuno ha voluto salvarli”, mentre la Stampa parla di “Strage di Stato”.
“Lo hanno visto, fotografato, hanno tracciato una telefonata verso la Turchia, rilevato la presenza di forte calore sottocoperta. E lo hanno abbandonato per più di sette lunghissime ore in mezzo al mare forza 4. – la ricostruzione di Repubblica – C’erano tutti gli elementi per capire che nel ventre di quel vecchio barcone che nella notte avanzava lentamente verso le coste calabresi con una sola persona al timone c’erano centinaia di migranti provenienti dalla rotta turca, percorsa soprattutto da famiglie di profughi afghani, siriani, iracheni. Ma, incredibilmente, a nessuno dei tanti attori comparsi sulla scena di quello che, solo poche ore dopo, sarebbe finito nella storia italiana come il secondo più grande naufragio di tutti i tempi è venuto in mente di fare quello che era obbligatorio fare: andare a salvare quella gente in pericolo”.

Le dichiarazioni del ministro dell’Interno. Mentre la magistratura lavora per accertare quanto accaduto sulle coste calabresi, a far discutere sono state anche le dichiarazioni del ministro dell’Interno Piantedosi rispetto alla tragedia. “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei figli”, le sue parole, che hanno generato accuse e richieste di chiarimenti dalle opposizioni ma anche dal governo. Tanto che La Stampa titola “Meloni si smarca dalle frasi choc: spieghi quelle parole sui migranti”. Il ministro dell’Interno ha poi aggiunto nella giornata di ieri un altro commento: “Intendevo lanciare questo messaggio: fermatevi, veniamo a prendervi noi”. Una precisazione su cui si sofferma oggi Mattia Feltri nel suo Buongiorno (La Stampa): “se per esempio fossi un afghano – poiché i morti di Crotone sono soprattutto afghani – adesso sarei molto sollevato, e aspetterei l’arrivo di Piantedosi coi trombettieri. Cioè, se fossi un afghano, un abitante del paese invaso dagli occidentali nel 2001 per spazzare via i talebani e introdurre la democrazia, poi abbandonato a sé esattamente venti anni dopo, riconsegnato ai talebani e alle loro vendette, ora ridotto a una squallida dittatura della sharia, in tracollo economico, con oltre ventotto milioni di abitanti bisognosi di assistenza umanitaria, beh, se fossi un afghano, dopo aver sentito che adesso viene a prendermi Piantedosi, mi sentirei in una botte di ferro”.

I filo-Putin all’assalto del governo moldavo. Ieri in serata la polizia della capitale della Moldavia, Chisinau, si è scontrata con centinaia di manifestanti del partito filorusso Shor, che cercavano di fare irruzione nella sede del governo. Per Mihail Popsoi, vicepresidente del Parlamento moldavo, a colloquio con Repubblica, l’azione di ieri fa parte dei “tentativi di destabilizzare la situazione. Sono proteste finanziate da Shor. Hanno tutto il diritto di manifestare, ma non tollereremo azioni violente. Ed è palese che queste proteste orchestrate da Shor rappresentano il disperato tentativo del Cremlino di creare il caos. Ma non ci riuscirà, la maggior parte dei moldavi è con noi e con il nostro governo pro europeo. Non siamo preoccupati”.
Pericolo Iran. Le scorte di uranio arricchito dell’Iran sono 18 volte oltre il limite stabilito nell’accordo internazionale sul nucleare firmato nel 2015. Lo ha denunciato l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) , a pochi giorni dalla riunione del board dei governatori e dalla visita a Teheran del direttore generale Rafael Grossi. L’Aiea ha rinvenuto particelle di uranio arricchito all’83,7%, poco al di sotto del 90% necessario per produrre una bomba atomica. Dal rapporto, spiega Repubblica, emerge che in teoria la Repubblica islamica potrebbe adesso realizzare in pochi mesi l’atomica. “Il direttore della Cia William Burns ha detto che l’ayatollah Khamenei non ha ancora deciso di procedere in questo senso, ma gli ispettori dell’Aiea sono andati in Iran per verificare cosa sia successo”.

La tensione tra israeliani e palestinesi. Il Riformista pubblica una lunga intervista all’ambasciatore israeliano Alon Bar in cui si parla delle tensioni e violenze degli ultimi giorni in Israele e in Cisgiordania. Il diplomatico per il momento esclude che si tratti di una terza intifada. “Ma nell’ultimo anno abbiamo assistito a un crescente numero di atti terroristici all’interno di Israele, a Gerusalemme, e il livello di tensione è molto alto. Rispetto al passato, ci sono differenze: in questa fase, non vediamo sostegno all’intifada da parte dell’Autorità Palestinese e assistiamo a una forte demonizzazione di Israele, la qual cosa potrebbe portare a ulteriori tensioni e violenza. Gli orribili attacchi terroristici ad Hawara e l’omicidio dei due fratelli israeliani, e gli altri attentati avvenuti in precedenza a Gerusalemme, sono il diretto risultato della deliberata e premeditata istigazione pianificata e compiuta dalle organizzazioni terroristiche che agiscono direttamente per conto dell’Iran. Gli interventi delle forze di sicurezza israeliane contro i centri del terrorismo a Nablus e Jenin sono finalizzati unicamente alla prevenzione di imminenti attacchi terroristici. Le forze israeliane – afferma Bar – compiono sforzi enormi per individuare e colpire esclusivamente i terroristi senza fare del male a civili innocenti, per quanto possibile. I terroristi, al contrario, ambiscono a generare il maggior numero possibile di vittime innocenti da entrambe le parti. A tal fine, mettono deliberatamente a rischio la popolazione civile palestinese, utilizzandola come vero e proprio scudo umano”. Per il diplomatico poi l’accordo negoziato tra le parti non è “impossibile. Ma la soluzione ‘a due Stati’ è stata sostenuta principalmente dalla comunità internazionale e non necessariamente a sufficienza da israeliani e palestinesi”. In merito agli scontri, il Fatto Quotidiano pubblica un reportage da Gerusalemme in cui sostiene che il “governo di estrema destra sembra aver stimolato gli ultrà ebrei, mentre le divisioni tra Gaza e Cisgiordania indeboliscono ancor più le posizioni degli arabi”.

Segnalibro. Si intitola Essere altrove (Neri Pozza) l’ultimo libro Emilio Jona, a cui lo storico Giovanni De Luna dedica oggi su La Stampa un’ampia recensione. Il volume raccoglie gli scritti pubblicati da Jona, tra il 1988 e il 2019, sul giornale ebraico torinese Ha Keillah. “Al centro – scrive De Luna – la questione dell’appartenenza e di conseguenza della natura dello stato israeliano”.

La storia di Schlein. Sui quotidiani si parla ancora della nuova segretaria del Pd Elly Schlein. Il Corriere si sofferma sulle sue origini. “Nata a Lugano nel 1985, fu registrata all’anagrafe come Elena Ethel, dai nomi delle due nonne che non ha conosciuto e che porta ‘con orgoglio’. Il nonno paterno si chiamava Herschel Schleyen, era nato nel 1892 da famiglia aschenazita nei pressi di Leopoli, (oggi Zovkva, Ucraina) e per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei era stato costretto a emigrare negli Usa. ‘Arrivò tra 911 e 1914 a Ellis Island dove gli cambiarono il nome e diventò Harry Schlein’, ha raccontato la nipote nell’autobiografia La nostra parte (Mondadori, 2022). Il nonno materno, Agostino Viviani, – aggiunge ancora il Corriere – fu partigiano e fervente antifascista, avvocato, senatore del Partito socialista e presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama”.

Daniel Reichel