Disegnare, resistere: Joann Sfar
e la sua gioventù ebraica in Francia

È un volume poderoso, La Synagogue, in tutti i sensi: un albo di quasi duecento pagine, di cui una trentina, alla fine, sono intitolate semplicemente “Documenti” e raccolgono articoli di giornale dedicati ad azioni antisemite, in Francia. Aggressioni, cimiteri violati, manifestazioni. Razzismo quotidiano. Pagine in cui agli articoli si accompagnano disegni e appunti, in quello stile ibrido cui Joann Sfar non è certo nuovo. Ma non è solo la dimensione dell’opera a colpire: è uno Sfar diverso, racconta la propria infanzia, gli anni dell’adolescenza e la figura di suo padre: una storia personale, una dimensione intima in cui si è avventurato dopo aver sfiorato la morte, per Covid. Un periodo di malattia lungo, prima in ospedale e poi a casa, da cui è uscito disegnando. E in La Synagogue disegna se stesso, si prende in giro, e si disegna mentre viene preso in giro da uno dei suoi numi tutelari, quel Joseph Kessel – detto Jeff – come lui ebreo e come lui vissuto a Nizza.
Presentando il suo ultimo romanzo – Le Dernier Juif d’Europe, il prossimo esce a inizio marzo – aveva ricordato come “l’antisemitismo è diventato un modo per riunire persone che non hanno nulla in comune, ma che lì evidentemente si ritrovano”, per poi aggiungere: “Venti o anche trenta anni fa la comunità ebraica, terrorizzata e sotto choc, dopo un attacco antisemita ne parlava (a volte anche troppo) e suscitava reazioni di simpatia. Oggi è il contrario. Tutti gli ebrei sanno benissimo che quando si denuncia un episodio di antisemitismo la conseguenza è una recrudescenza di azioni antiebraiche”.
Prosegue: “Dobbiamo smetterla di pensare che la stupidità o la mancanza di cultura possono essere scuse per l’odio”. Pur avendo dichiarato spesso di non scrivere per cambiare il mondo, di non voler esser considerato un autore militante, scrive e disegna senza ambiguità alcuna.
Non c’è spazio per i compromessi, non c’è spazio per i fraintendimenti, e non ha avuto bisogno di allontanarsi, non è l’Algeria de Il gatto del rabbino né l’Ucraina di Kletzmer, siamo a Nizza, in Francia, in un’epoca in cui in Front National non pretendeva di essere un partito come gli altri.
In La Synagogue un giovanissimo Joann Sfar pur di non andare in sinagoga con il padre si unisce al gruppo della sicurezza, scopre gli sport da combattimento e inizia a confrontarsi con l’assurdità degli estremismi e della radicalizzazione ideologica.
Un racconto che si incrocia con la cronaca degli anni Ottanta, con un’indagine sul senso del lutto e della religione e mette in discussione forme di virilità oramai passate di moda, le figure degli eroi e le minacce dei fanatici. Il padre, avvocato di mafiosi e cacciatore di neonazisti, uomo dal grandissimo fascino e di enorme generosità, è allo stesso tempo il mito da imitare e da sfuggire, e comunque sempre una figura con cui confrontarsi.
Sfar è un fiume in piena, come sempre: “Ho l’impressione che con l’odio in senso lato – e l’antisemitismo è una forma di odio – il nostro mondo sia sempre più incapace di confrontarsi. Negli anni Ottanta uno skinhead lo riconoscevamo da lontano, ora non è più così facile individuare i propri nemici. Ma l’odio per gli ebrei non è, credo, l’argomento del libro. Piuttosto, lo è la risposta ebraica all’odio”. Ricorda di essere cresciuto schiacciato da due “meta-simboli” di virilità: suo padre e il nonno materno, eroe di guerra, che però rifiutava di raccontare il passato, ricorda Sfar, “se non per dire che era assurdo, e che quando metti una divisa sul migliore degli uomini, diventa uno stronzo”.
E come se non fosse sufficiente al Lycée Masséna, dove ha studiato, c’erano due studenti illustri: Romain Gary e Joseph Kessel, simboli tra le altre cose di grande virilità. Spiega Sfar: “C’è questa idea, che ha infastidito molto Romain Gary, che quando si parla di ebrei si parla solo di personaggi chinati sui libri, con la barba… Io stesso non sfuggo a questa trappola quando disegno i rabbini. In realtà, non eravamo preparati a incontrare un ebreo come il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che involontariamente cambia per sempre l’immagine dell’ebreo europeo”. Non è uno scrittore militante, dice di sé Sfar. Poi si mette a disegnare.

Ada Treves

Dossier Comics&Jews