Yiddish, lingua senza frontiere

“Lo yiddish non ha ancora detto la sua ultima parola. Contiene tesori che non sono stati ancora rivelati agli occhi del mondo. Era la lingua dei martiri e dei santi, dei sognatori e dei cabalisti, ricca di umorismo e ricordi che l’umanità non dimenticherà mai. In senso figurato, lo yiddish è il linguaggio saggio e umile di tutti noi, l’idioma dell’umanità sospesa fra paura e speranza”.
Nel ritirare il Premio Nobel per la Letteratura, Isaac Bashevis Singer riaffermava con queste parole la vitalità di una lingua e un mondo quasi cancellati durante la Shoah. Lo yiddish, nonostante tutto, ha resistito e la sua influenza continua. I numeri di chi lo adopera nel quotidiano sono drasticamente diminuiti: dagli oltre dieci milioni di cento anni fa ai circa 400mila di oggi. “Tuttavia l’impronta lasciata dalla sua cultura ha proporzioni ben più vaste dell’esiguo numero di parlanti attuali e travalica i confini linguistici. La ritroviamo in autori come Saul Bellow, Chaim Potok e Mordechai Richler, nel cinema dei fratelli Marx, di Mel Brooks e dei fratelli Cohen” ricorda Anna Linda Callow nel suo libro appena pubblicato da Garzanti, La lingua senza frontiere, che restituisce ai lettori il fascino e la complessità dello yiddish. Il suo essere uno strumento, sottolinea la traduttrice e autrice del volume di successo La lingua che visse due volte. Fascino e avventure dell’ebraico, per raccontare “il travaglio di un’epoca, l’urgenza di un pensiero, il desiderio di conoscere e di spiegarsi che è il destino più alto dell’essere umano”. Il volume sarà presentato a Milano (martedì 7 marzo alle 18.00) alla libreria Claudiana, con un dialogo tra l’autrice e Claudia Rosenzweig, docente di yiddish all’Università Bar Ilan.