I ragazzi di Yiddishuania

When I grow up, quando sarò grande. Allora sarò un poeta, una ballerina, un astronauta, un insegnante. Avrò dei figli. Viaggerò per il mondo. Avrò una vita. Sono i sogni dell’adolescenza, quelli che tutti abbiamo sognato, con trepidazione e speranza, nella terra di mezzo che segna lo stacco dall’infanzia e l’ingresso nell’età adulta. La Shoah ha divorato questo tessuto prezioso di emozioni e desideri che oggi torna a noi, nel suo vibrante carico di umanità, nell’ultimo bellissimo libro del disegnatore americano Ken Krimstein.
Intitolato When I grow up – The lost autobiographies of six Yiddish teenagers (Bloomsbury, 232 pp.), il lavoro nasce dalla recente scoperta di quasi seicento autobiografie di adolescenti ebrei dell’Est Europa ritrovate in una chiesa in Lituania. A lungo considerati distrutti dai nazisti, gli scritti erano stati composti per il concorso rivolto a ragazzi fra i 13 e 21 anni e indetto negli anni Trenta dall’Yivo – oggi noto come lnstitute for Jewish Research e fondato nel 1925 a Berlino e Vilna (oggi Vilnius) da studiosi e intellettuali fra cui Einstein e Freud.
“Nel corso degli anni Trenta – scrive Krimstein – più di settecento temi arrivano da ogni angolo della Yiddishuania” (il neologismo coniato dall’autore per indicare l’area dell’Est Europa che parlava yiddish). Il premio di 150 zloty dev’essere assegnato il primo settembre 1939 ma i vincitori non saranno mai proclamati. Quel giorno Hitler invade la Polonia e la sorte dell’ebraismo dell’Est è segnata. Gli archivi dell’Yivo sono saccheggiati dai nazisti e i documenti, fra cui parte dei temi del concorso, spediti in Germania all’Istituto per lo studio della questione ebraica di Francoforte.
Gli abitanti del ghetto, quelli che dopo la guerra diventano noti come la Paper Brigade, riescono però a mettere in salvo molti testi e documenti. Dopo l’arrivo dei sovietici, i pochi sopravvissuti della Paper Brigade recuperano quel tesoro che diviene il nucleo del nuovo Museo ebraico locale. I materiali si inabissano di nuovo quando Stalin ne ordina la confisca come ritorsione per le politiche israeliane. Per metterli al sicuro un simpatizzante, membro del Partito comunista, li nasconde in una chiesa a Vilnius. E qui i temi dei ragazzi, a lungo dati perduti, sono ritrovati in uno scantinato nel 2017. È una storia che ha dell’incredibile e gli scritti non sono da meno. La vivacità, il realismo e i dettagli che li animano sono straordinari e conquistano Krimstein.
“Uno ascoltava dischi, un altro pattinava il ghiaccio. Erano persone reali”, nota il cartoonist. In quelle pagine si ritrovano un padre che abbandona la famiglia, una coppia affettuosa, un divorzio, le inquietudini e gli slanci di una generazione che malgrado le nubi della storia si addensino non smette di immaginare il futuro. Da questo mare toccante di testimonianze, Krimstein coglie il racconto di sei giovanissimi e li ricrea con un tocco grafico al tempo stesso tenero e incisivo. Ecco la bambina che pattina sul ghiaccio, l’innamorato, la cantante a cui si proibisce il canto che vede il padre inabissarsi nell’alcol, il ventenne che scrive decine di lettere – al sindaco di Tel Aviv, al presidente degli Stati Uniti, al direttore di un giornale americano in yiddish – mentre cerca un visto per l’America che purtroppo non arriverà mai; la giovane che recita il Kaddish per il padre, che ha sempre incoraggiato le sue passioni intellettuali, ma è zittita da un addetto della sinagoga (“Non sai che il Kaddish di una ragazza non vale niente”?”) e l’undicenne che si iscrive al concorso malgrado il regolamento glielo vieti.
Sono pagine in cui le barriere del tempo e della storia per un istante si annullano e ottant’anni dopo la realtà di quei ragazzi e ragazze torna al lettore con freschezza e attualità. Immedesimarsi è naturale perché solo la brutalità dell’epilogo consegna queste storie all’eccezionale – questi sono i sogni di qualsiasi adolescente, in ogni tempo e a ogni latitudine. Il concorso chiede ai ragazzi di descrivere le loro vite e i testi sono anonimi. Nulla lascia intravedere un frammento dell’identità reale degli autori con un’eccezione. È la ragazzina che si iscrive al concorso anche se troppo giovane e di nuovo infrange le regole scrivendo in prima pagina il suo nome e inserendo una foto. In un ultimo colpo di scena, l’immagine è pubblicata nel 2017 dal New York Times a illustrare la notizia del ritrovamento a Vilnius dei temi del concorso. È Beba Epstein, sopravvissuta a tre campi di concentramento e poi emigrata negli Stati Uniti.
I figli, che vivono in America, la riconoscono e quando leggono la sua composizione restano senza fiato. Non avevano mai sospettato nella madre, morta cinque anni prima, quella vena ribelle. A lei, l’undicenne che infrange le regole per partecipare al concorso, è dedicato uno dei capitoli di When I grow up. Se nel suo caso la Storia ci consegna il finale e una biografia, non si sa nulla invece degli altri giovani autori ma è facile immaginare il peggio. Eppure le loro parole mantengono intatta una carica dirompente di vitalità e voglia di futuro. Ken Krimstein ce li restituisce nel fragile spazio della pagina e sono voci che pretendono attenzione.

Daniela Gross – Dossier Comics&Jews / Pagine Ebraiche