Un negoziato di pace europeo
Il Sole 24 Ore ospita un editoriale sul rilancio dei negoziati tra israeliani e palestinesi a firma di Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza. Il suo obiettivo, annuncia, è quello di far ripartire il dialogo attraverso un’iniziativa europea. “Troppe persone muoiono ogni settimana in Israele e nei Territori occupati palestinesi, a milioni vivono nella paura e nella disperazione. – esordisce Borrell – Il mondo ha risposto con troppe dichiarazioni e pochi fatti. Le cose devono cambiare”. Secondo il rappresentante della politica estera europea “è chiaro che né gli israeliani né i palestinesi sono pronti per la pace. Sul versante palestinese, manca unità e la legittimità democratica è insufficiente. Tutte le fazioni palestinesi dovranno rinunciare al terrorismo e superare le divisioni politiche. Sul versante israeliano, le priorità assolute devono essere mettere fine alla costruzione di insediamenti e alla violenza dei coloni, e un’offerta di negoziato per uno Stato palestinese indipendente”. Borrell propone di riprendere in mano una proposta del 2013 dell’Ue in cui era stato “offerto un ‘pacchetto senza precedenti di sicurezza, sostegno economico e politico’ se le parti avessero raggiunto un accordo di pace”. E di agganciare questa iniziativa a quella della Lega araba. “Questo processo – la tesi del capo degli Esteri dell’Ue – consiste nel delineare il modo in cui Israele e Palestina si integreranno nella regione se faranno la pace. Dobbiamo considerare che sicurezza, cooperazione politica ed economica la pace renderebbe possibili e come tutte le parti possono affrontare le sfide comuni relative all’acqua, all’energia, alle infrastrutture e al cambiamento climatico”.
Tajani in Israele. “Il bilancio della missione in Israele e Palestina, dove ho visto i due presidenti, i due premier e i ministri degli Esteri, è un bilancio positivo. Ma non basta essere felice degli incontri a Gerusalemme e Ramallah. Al presidente palestinese ho portato i saluti del suo amico presidente israeliano Herzog lui, Abu Mazen, mi ha detto di salutare Berlusconi, e lo stesso ha fatto Netanyahu. Ma i frutti di queste missioni internazionali, e di quelle del presidente del Consiglio si vedranno fra giorni, fra settimane. Abbiamo iniziato a piantare semi per far crescere nuove iniziative di politica estera e di politica economica”. Così il ministro degli Esteri Antonio Tajani intervistato dal Giornale sulla sua missione tra Tel Aviv, Gerusalemme e Ramallah. Tra i temi toccati nell’intervista, oltre alla questione delle migrazioni, la rinnovata richiesta del governo israeliano di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele. “La posizione del governo italiano è quella che gli abbiamo esposto la presidente Meloni e io stesso. – afferma Tajani – Vogliamo essere il miglior amico di Israele in Europa, ma con l’Europa vogliamo lavorare per una pace, un accordo con i palestinesi nella formula “due popoli, due Stati”. E in questa formula l’Italia considererà anche il tema della capitale di Israele. Netanyahu è un amico, ha capito perfettamente”.
Rispetto alle cooperazioni economiche, il Sole 24 Ore si sofferma sulle parole di Tajani sul gas: “l’Italia vuole essere l’hub del sud dell’europea. Per cui rafforzeremo la collaborazione con Israele anche su questo fronte”. Nella missione israeliana, Tajani ha regalato, segnala il Corriere, a Netanyahu una maglia del Giro d’Italia, che nel 2018 era partito da Israele.
Riforma e proteste. “Una volta scrivevo libri, oggi scrivo cartelli”: con queste parole lo scrittore Etgar Keret si è unito alle proteste in corso da due mesi in diverse città di Israele contro la riforma della giustizia del governo Netanyahu. Una riforma, scrive Repubblica raccontando della scelta di Keret, volta “a limitare i poteri della Corte suprema e sottoporre la magistratura al controllo della politica”. Sul Foglio invece il direttore Claudio Cerasa replica a un lettore che invita a mobilitarsi, dall’Italia, al fianco della protesta. Cerasa riprende le parole di un editoriale di Giuliano Ferrara sulla questione: “La pretesa della maggioranza Netanyahu di impedire per legge, con correzioni che aumentano il peso del legislativo, lo sfondamento del sistema democratico elettivo da parte dei funzionari non eletti che stanno a presidio della regola giudiziaria ha un suo fondamento. I rischi sono evidenti, – scriveva Ferrara – ma la maggioranza di israeliani che ritiene giustificata la correzione di sistema in discussione alla Knesset e nelle strade di Gerusalemme non ha tutti i torti”. Cerasa aggiunge poi che “L’alleanza del Likud di Bibi con intolleranti e fanatici è criticabile, ovviamente, ma il rapporto tra giustizia e democrazia merita una riflessione seria, ponderata e non faziosa”.
Antisemitismo. Ieri il Fatto quotidiano ha pubblicato un profilo di Elly Schlein, in cui si sottolineava l’origine ashkenazita del padre e l’articolo era accompagnato da una “enorme caricatura che ne storpiava i caratteri fisici secondo alcuni stereotipi che richiamano, forse involontariamente, la propaganda antisemita”, sottolinea oggi il Foglio. Quest’ultimo si sofferma anche sull’uso del termine “ashkenazita”: “in sé neutro, sottolineato per definire Schlein e prima di lei persone come George Soros c’è, almeno in alcuni mondi e nel sottobosco della rete, il rimando a un’intera teoria complottista che ruota attorno alla specificità ashkenazita. Secondo questa teoria gli ashkenaziti sono gli ebrei più malvagi, i membri della “cupola” all’origine di ogni cospirazione, e soprattutto dei “falsi ebrei” in quanto eredi dei Cazari, gli abitanti dell’antico Khanato di Khazaria che si convertirono in massa all’ebraismo e, dopo la caduta dell’impero, si diffusero in Europa orientale e da lì in tutto il mondo”. Il Foglio spiega che la teoria, sviluppata da Arthur Koestler, è stata ampiamente confutata, ma oggi è “sfruttata da complottisti e antisemiti in Europa e nel mondo arabo per bollare come abusiva la maggior parte della popolazione israeliana, rappresentando la prova che la maggior parte degli ebrei non ha mai avuto radici nell’antica Giudea”. “Ironia della sorte, sembra che Koestler scrisse quel libro con l’idea che se avesse dimostrato che la maggior parte degli ebrei europei discendeva dai Cazari la base razziale dell’antisemitismo sarebbe scomparsa, e con esso l’odio verso gli ebrei. Ma – ricorda il Foglio – l’antisemitismo è un male strisciante che ha attraversato secoli e generazioni continuando a trasformarsi e a riemergere, a volte (si spera) anche inconsapevolmente”.
Ernst Tugendhat (1930-2023). II filosofo tedesco di origine ceca Ernst Tugendhat, tra i maggiori pensatori nel campo della filosofia analitica del linguaggio, è morto ieri a Friburgo in Brisgovia. Aveva appena compiuto 93 anni. Nato a Brno (oggi Repubblica Ceca) l’8 marzo 1930, fu costretto a fuggire con i genitori nel 1938 dalle persecuzioni antisemite dei nazisti. Prima la famiglia si rifugiò in Svizzera e poi in Venezuela. Dopo aver studiato negli Stati Uniti, Tugendhat tornò in Europa per studiare Martin Heidegger a Friburgo dove si avvicinò alla filosofia analitica, ricorda il Corriere della Sera. “La comprensione umana può essere chiarita solo nella riflessione sulle strutture linguistiche fondamentali”, diceva Tugendhat, chiarendo l’ineluttabile ambiguità del pensiero.
Daniel Reichel