Le ferite di Roma e la cura dell’arte
Non sono poche le occasioni in cui Roma “ha tradito se stessa”, dall’antichità imperiale al Ventennio. Ferite “autoinflitte” e che risiedono a diversa livelli nell’inconscio collettivo. Mentre, al contrario, molti dei luoghi che sono stati teatro di questi avvenimenti “sono chiassosi e distratti”.
È il presupposto da cui ha origine “Le ferite di Roma”: mostra e atto di denuncia al tempo stesso. A curarla per Spazio Taverna (dove sarà esposta fino al 31 marzo) sono Marco Bassan e Ludovico Pratesi, che hanno coinvolto dieci artisti chiamati ad elaborare altrettanti traumi della storia cittadina. Un progetto che si dipana dall’assassinio di Giulio Cesare per arrivare a quello di Aldo Moro, portando l’attenzione anche su due eventi traumatici d’epoca fascista: la Marcia su Roma che segnò l’avvento al potere di Mussolini e il delitto Matteotti che consolidò la drammatica stagione della dittatura.
L’idea nasce da una constatazione amara: “L’integrità che i tedeschi hanno dimostrato nell’affrontare la storia del nazismo o la forza cerimoniale che hanno gli americani nel celebrare l’11 settembre non hanno molti paragoni nella cultura italiana contemporanea”. Illuminanti in questo senso alcune riflessioni di Daniel Libeskind, secondo il quale “il trauma non è qualcosa che puoi curare, perché sarà sempre lì”. Lo stesso, la direzione indicata da Libeskind, resta lo spazio per affrontare la ferita con una certa consapevolezza “per poterci dare un senso di futuro diverso dal semplice essere perseguitati dai fantasmi del passato”. Sfida raccolta dai dieci artisti che hanno aderito al progetto, ciascuno con un disegno: Elisabetta Benassi, Giulio Bensasson, Enzo Cucchi, Silvia Giambrone, Rä di Martino, Lulù Nuti, Luigi Ontani, Pietro Ruffo, Gabriele Silli e Marco Tirelli. A loro il merito di aver attivato “una carica simbolica, cioè quella capacità immaginifica e visionaria tipica degli artisti e degli scrittori contemporanei”. Ai curatori della mostra (che sarà visitata il 22 dall’associazione OR) l’apprezzamento tra gli altri di Miguel Gotor, assessore comunale alla Cultura, secondo il quale l’iniziativa di Bassan e Pratesi “ha il merito e l’originalità di restituire tra le tante possibili stratificazioni utili a interpretare Roma anche una stratificazione della violenza e dei traumi vissuti”. Del resto, aggiunge Gotor, “vorrà pure dire qualcosa se tutto è cominciato, secondo la tradizione del mito tramandata fino a noi, da un fratricidio per una lite di confine”.
(Nell’immagine: Marco Bassan davanti a due delle opere in mostra)