“Azarya de’Rossi, padre di un metodo”

Il Meor Eynayim è il lascito più noto di rabbi Azarya de’ Rossi, grande figura del Cinquecento ebraico italiano. Nato a Mantova nel 1513, in un’epoca di notevoli fermenti intellettuali, svolge al suo interno una serie di riflessioni che hanno rappresentato un modello anche nei secoli successivi. Si tratta infatti della prima opera rabbinica di impostazione critica mai scritta. E per questo il suo autore è da guardare come a un punto di riferimento, il “padre” di un metodo.
A suggerirlo il rav Gianfranco Di Segni, ideatore e curatore assieme a Giorgio Segrè del ciclo di incontri “Scrivi questo ricordo nel Libro” alla Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano Tullia Zevi, promosso dalla Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia e dall’UCEI. Il secondo appuntamento del ciclo era dedicato proprio al Meor Eynayim, con a parlarne il coordinatore del Collegio rabbinico rav Benedetto Carucci Viterbi.
Il profilo di Azarya de’Rossi, ha esordito il rav, “è quello di un tipico ebreo italiano; c’è infatti, nella nostra storia, una lunga tradizione di approccio storico di tipo critico”. Non è un caso, in questo senso, “che numerosi rabbini sono o siano stati professori e/o storici”. La formazione di questa straordinaria e versatile figura, ha poi aggiunto, “appare particolarmente ampia, anche in considerazione del numero di opere che cita: dentro e fuori la tradizione ebraica”. Una vastità notevole “che comprende moltissimi autori della letteratura latina e greca, della letteratura italiana e persino di padri della Chiesa”.