Mappa della deportazione milanese, la Storia prende forma
Un primo passo per la modellizzazione geografica e digitale della deportazione in Italia. A farlo, un progetto realizzato da Giovanni Pietro Vitali, esperto in analisi di dati, assieme alla Fondazione Cdec e in collaborazione con il Memoriale della Shoah di Milano. Il frutto di questa sinergia ha portato alla ricostruzione di una mappa che permette di visualizzare i movimenti spazio-temporali degli ebrei milanesi e degli ebrei arrestati nel capoluogo lombardo. “È un esempio di come gli strumenti digitali permettono di visualizzare il lavoro degli storici, utilizzando l’enorme ricchezza di dati raccolti nel corso del tempo, in questo caso dal Cdec”, sottolinea a a Pagine Ebraiche Vitali, docente di Digital Humanities all’Université de Versailles Saint-Quentin-en-Yvelines.
Incrociando i dati messi a disposizione sulla Digital Library della Fondazione Cdec, frutto dell’enorme lavoro di ricerca sulla Shoah italiana della storica Liliana Picciotto, Vitali e il collega Simone Landucci hanno lavorato per costruire, passo dopo passo, una mappa interattiva e multimediale in cui poter vedere luoghi e percorsi di centinaia di persone vittime della persecuzione. Nello specifico, 260 ebrei arrestati nell’area di Milano e 160 ebrei milanesi. Diversi dei quali passarono per il binario 21 della Stazione centrale, oggi Memoriale della Shoah. “La mappa – evidenzia Laura Brazzo, responsabile dell’Archivio del Cdec – sarà uno straordinario strumento didattico a disposizione proprio del Memoriale, delle sue guide e dei suoi utenti per capire in maniera chiara e visiva quanto è accaduto in quel luogo”. Avere a disposizione la ricostruzione digitale dell’itinerario della persecuzione rappresenta, prosegue Brazzo, “un valore aggiunto per l’impegno del Memoriale così come per quello del Cdec. Al primo, come dicevamo, fornisce uno strumento molto efficace per raccontare il suo passato”. Per il Cdec, spiega la responsabile dell’archivio che ha collaborato a lungo con Vitali, rappresenta un modo per valorizzare il patrimonio di informazioni di dettaglio sul destino degli ebrei costruito negli anni.
Si tratta, sottolineano sia Vitali sia Brazzo, di un progetto unico che rappresenta un esempio di come si possa evolvere la ricerca storica, sfruttando gli strumenti digitali. “I dati ci parlano della storia, saperli ascoltare e disporli in una visualizzazione è un processo cruciale per l’avanzamento del dibattito critico ma soprattutto uno strumento per combattere fenomeni di narrazione e revisionismo riguardanti memorie ancora calde come quelle che tradiscono la Seconda guerra mondiale. – spiegava il docente di Digital Humanities in un suo recente intervento – Creare dati, strutturare metadati e poi visualizzarli non lascia spazio all’interpretazione parziale degli eventi storici, diventa una risposta chiara e certa per chiunque voglia leggere la storia senza incorrere in mistificazioni e lasciare spazio a narrazioni”.
Per fare questo, aggiunge a Pagine Ebraiche, è importante seguire l’esempio coraggioso della Fondazione Cdec, che, attraverso la propria Digital Library, ha messo a disposizione di tutti, ricercatori e semplici utenti, il proprio patrimonio di informazioni. “Siamo credo l’unico istituto che ha reso disponibile i propri dati sulla deportazione in un formato riutilizzabile da terzi. Questo significa che i nostri dati sono trasparenti, verificabili e appunto riutilizzabili da chiunque. – rileva Brazzo – Ed è una scelta che penso consenta l’avanzamento della conoscenza”.
“Non è un elemento scontato. – evidenzia ancora Vitali – Con molte istituzioni il percorso è molto più complicato. Servono permessi, contatti… L’archivio del Cdec ha invece scelto la filosofia open”, che elimina intermediazioni e facilita il lavoro degli studiosi. “Vorrei poi aggiungere un elemento di cui mi sono reso conto in questo progetto: da ricercatore, quello che emerge lavorando sui dati messi insieme negli anni dal Cdec è lo spirito con cui tutto questo è stato fatto. Si sente il percorso di una comunità che ha cercato di mantenere viva un certo tipo di memoria, ma senza essere tendenziosa. Si sente la volontà di capire ogni passaggio di ogni singolo destino, cercando sempre l’obiettività, documentandosi, incrociando i dati, verificando in continuazione l’attendibilità di ogni informazione”.
(Nell’immagine, il Memoriale della Shoah di Milano)